L’estate italiana della rivolta contro i fannulloni

Renato Brunetta come Charles Bronson. Il nostro ministro della Pubblica amministrazione come il Giustiziere della notte di trentacinque anni fa. Il professore di economia che utilizza internet con la stessa forza con la quale Charles, alias Paul Kersey, maneggiava un calzino pieno di monetine. Ma cosa sta succedendo nella sonnacchiosa Italia dei dipendenti pubblici? Scritte sui muri che un tempo recitavano la sanguinosa prassi del politicamente assurdo e che oggi inneggiano alla lotta «contro i fannulloni». Impiegati che reclamano la Finanza perché nel loro ufficio i colleghi sono in pausa caffè da tre anni. L’infermiera che denuncia ai carabinieri la latitanza del suo intero reparto. E ancora. Nel mese di luglio, secondo il «giustiziere de corso Vittorio», l’assenteismo è calato del 30 per cento. Anche i più critici ammettono l’effetto Brunetta. La lotta agli sprechi arranca: Camera e Senato continuano ad elargirsi bilanci da favola. Le autonomie locali sono lì che si moltiplicano. Ma i 3,6 milioni di dipendenti pubblici tremano.
Brunetta è riuscito laddove Visco ha fallito. Ci spieghiamo meglio. Il ministro della Pubblica amministrazione ha conquistato l’affetto popolare. Le sue battaglie per un servizio pubblico degno di questo nome hanno avuto effetto. Ha adottato una politica semplice, dei piccoli passi, di annunci realizzabili, ha detto ciò che tutti pensavano. Non ha creato un nemico, il pubblico dipendente in sé, ma ha cercato di isolare un fenomeno insopportabile: l’assenteismo ingiustificato, la mancanza di merito, il todos caballeros dei nostri civil servants.
Visco, l’ex uomo forte delle finanze di Romano Prodi, ha giocato una partita simile. Ma ha ritenuto di individuare un nemico ben preciso: l’evasore fiscale. E si è mosso, anche egli, come un bulldozer. Annunci e punizioni esemplari: da Valentino Rossi ai furbetti di Gnutti e company. Ha però commesso un grande errore, pensando che a pagare il prezzo della rivoluzione fiscale dovessero essere proprio coloro che il fisco lo pagavano già. Mutando il campo, sarebbe come se Brunetta sparasse nel mucchio, pretendesse le visite fiscali anche per coloro che sono al lavoro: un controsenso. Certo la battaglia fiscale ha un grado di difficoltà diversa. Chi non riceve uno scontrino talvolta ha un atteggiamento di complice comprensione con l’evasore, del tipo: «Eh sì, siamo tutti stritolati dal fisco predatore». È difficile invece che il cittadino in fila ad uno sportello abbia la benché minima comprensione verso la lentezza burocratica.
Nell’antropologia di un’Italia male abituata è più sopportabile un evasore di un fannullone? Entrambi, in realtà, scaricano sulla collettività il loro comportamento vizioso. Più direttamente il fannullone dell’evasore: ma alla fine il risultato è il medesimo.
Visco contro Brunetta, evasori contro fannulloni. Limitiamoci per il momento a sospendere il giudizio e ad affrontare la realtà. Anche le forze in campo, a pensarci bene, non sono molto diverse. 3,6 milioni sono i dipendenti pubblici, oggetto delle attenzioni di Brunetta. Pensiamo forse che la platea dei potenziali evasori sia superiore? Probabilmente no. Ma ciò che più conta, appunto, è il risultato.
La battaglia di Brunetta ha un consenso generalizzato. Il che non le attribuisce ipso facto la patente di bontà. Ma rende l’idea del livello di sopportazione a cui si era arrivati. Lo Stato italiano da una parte preleva il 50 per cento del nostro reddito (il 43 per cento è il dato che non comprende l’evasione) e dall’altra con gli stessi quattrini alimenta una burocrazia che dà pessima prova di se stessa. In fondo sono le due facce della stessa medaglia: Testa Brunetta e Croce Visco. Il lato preso dall’esecutivo è quello di non toccare per ora la Croce (ahinoi poche riduzioni fiscali sono previste nei prossimi tre anni), ma almeno si scommette sulla testa.

Si pensa cioè di accomodare quel legame tra costi dello Stato e servizi resi ai cittadini. È un primo passo. È facile da capire. Per questo Brunetta si merita il suo successo.
Nicola Porrohttp://blog.ilgiornale.it/porro

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