L’ingrata Polverini: vinse grazie a Silvio ma chiede le dimissioni

La governatrice del Lazio si sfoga: "Le ultime vicende hanno minato la credibilità di Berlusconi". Solo un anno fa, dopo il caos liste, il Cav si spese in prima persona per farla vincere

L’ingrata Polverini: 
vinse grazie a Silvio 
ma chiede le dimissioni

Al coro di quanti chiedono al Cav di fare «un passo in­dietro », si è unita Renata Polverini, governatrice del Lazio. L’uscita è avvilente da diversi pun­ti di vista. In primo luogo, la signo­ra avrebbe tanto di quel da fare con la Regione che le è affidata, che non si capisce perché si di­stragga con la politica pura. Dà l’impressione di sentirsi insicura e, nella consapevolezza di non es­sere rieletta, di cercare una via d’uscita saltando dal carro berlu­sconiano che dà per perdente. Umano,ma inelegante.Nell’inter­vista al Messaggero , la governatr­i­ce aggiunge che le vicende in cui è coinvolto il Berlusca «ne hanno minato la credibilità e la reputa­zione » e che, per dirla tutta, «nuo­ce al Paese».

Questa cosa può dirla Bersani e perfino un elettore deluso del Pdl. Certamente, per ragioni di buon gusto, non deve però uscire dalla bocca polveriniana. La signora de­v­e infatti la vittoria del 2010 e la ca­rica a Berlusconi e solo a lui. E il Berlusca di allora non era diverso dall’attuale. Aveva già nel carnie­re il bunga bunga, i pm alle calca­gna, gli anatemi di Rosi Bindi. Ep­pure, la Polverini ne ha cercato con tutte le forze l’appoggio, im­plorato i consigli e fatto carte false per portarlo ai suoi comizi.

Ecco come andarono le cose. Renata era da anni segretario ge­nerale dell’Ugl, il piccolo sindaca­to di An. Era stufa e ambiva alla po­litica. Il suo leader, Gianfranco Fi­ni, la impose nel dicembre 2009 come candidato governatore, se­gando altri due aspiranti, sempre di An, Giorgia Meloni e Andrea Au­gello. Il Cav- già abbastanza in rot­ta con Fini- accolse con titubanza il nome di Polverini. Il suo era, in­fatti, l’opposto di un identikit libe­rale essendo della destra sociale, ostile al mercato e al capitale. Cioè, una sinistra di destra. Il suo motto più celebre suonava: «Io so­no di destra come Cicciolina è ver­gine ».Battuta che ne indica l’edu­cazione simpaticamente popola­resca e di grana grossa. Queste in­vece le sue convinzioni ideologi­che: «Liberista mai. Sono per un socialismo buono e una migliore distribuzione della ricchezza».

Con questi chiari di luna, com­prensibile la diffidenza del Cav. Ma poi, bonaccione com’è, si la­sc­iò convincere e addirittura si en­tusiasmò alla candidatura innatu­rale.

A questo punto Fini, che ave­va messo in pista Renata per crea­re imbarazzi al Cav, si indispettì e tolse l’appoggio alla pupilla.«Fac­cia da sé la campagna elettorale, io come presidente della Camera non posso impegnarmi nella lotta politica», disse virtuosamente ac­campando una scusa che, col sen­no di poi, ne fa il re degli ipocriti.

Per Polverini fu una mazzata. Or­bata dello sponsor era fritta. Fu co­sì che si attaccò al Cav come la coz­za allo scoglio. «Silvio qua, Silvio là», si mise in toto nelle sue mani, lo trascinò ai comizi, dava intervi­ste per lodarlo e tenerselo buono. Si faceva fotografare allacciata a quello che oggi ritiene un paria ma di cui allora diceva (nonostan­te la D’Addario):«Un istintivo che si muove benissimo tra la gente. È un leader, mi dà una gran carica e chi immagina una sua possibile caduta, assolutamente si sba­glia ». Così va il mondo.

Torniamo all’intervista politica al Messaggero . Il quotidiano, co­m’è noto, appartiene al genero di Pierferdy Casini. A suo tempo, il leader Udc votò per Polverini go­vernatrice. Successivamente ha ospitato nello schieramento di centro di cui è il cacicco, i profughi del Fli, la setta di Fini. Si può dun­que pensare, che Casini offra la sponda centrista a Renata- in usci­ta dal Pdl- e un ponte per riavvici­narla a Gianfry.

Senza dubbio l’affinità di Polveri­ni col mondo finiano è infinitamen­te maggiore a quella col Berlusca. Delle sue idee sappiamo già qual­cosa, ma anche nello stile mulie­bre è più Fli. La finiana per eccellen­za è Flavia Perina, una virago. Del­l’amazzone ha molto anche Rena­ta. Il suo fascino è rude, cosa che piace parecchio agli uomini, e non le manda a dire. Alcuni mesi fa, fu fi­schiata in un comizio a Genzano, sui Colli Albani. Reagì chiedendo ai manifestanti di tacere perché «questa è la democrazia, dovete far­vene un c.. zo di ragione». Poi,sicco­me uno continuava a inveire, urlò: «Nun me faccio mette’ paura da ’na zecca come te».

Indossa sempre i pantaloni. In casa, anche in senso figurato. È fem­minista, di un femminismo spiccio e pratico. Nell’Ugl ha fatto largo al­le donne. In Via Margutta- la sede­gli uomini erano panda, si incontra­vano solo signore decise come la ca­pataz. Renata aveva imposto que­sta regola: «A parità di merito, il po­sto va alle donne». «Che cavolo di regola è?», le ho chiesto. «La regola di quando comanda una donna», ha replicato da impunita. Messa co­sì sembra franca e sincera. Invece, come si vede nel salto della quaglia che sta compiendo, ha un tempera­mento alla Fini e, se le serve, mente sapendo di mentire. Un mese pri­ma di candidarsi per la Regione, le fu chiesto se pensava di lanciarsi in politica.

Replicò come a una be­stemmia, con gli occhi fissi e severi sull’interlocutore: «Sono segreta­rio Ugl. Molti hanno scommesso su di me. Il mio posto è qui».

Meglio perderla che trovarla.

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