Al coro di quanti chiedono al Cav di fare
«un passo indietro », si è unita Renata Polverini, governatrice del
Lazio. L’uscita è avvilente da diversi punti di vista. In primo luogo,
la signora avrebbe tanto di quel da fare con la Regione che le è
affidata, che non si capisce perché si distragga con la politica pura.
Dà l’impressione di sentirsi insicura e, nella consapevolezza di non
essere rieletta, di cercare una via d’uscita saltando dal carro
berlusconiano che dà per perdente. Umano,ma
inelegante.Nell’intervista al Messaggero ,
la governatrice aggiunge che le vicende in cui è coinvolto il
Berlusca «ne hanno minato la credibilità e la reputazione » e che, per
dirla tutta, «nuoce al Paese».
Questa cosa può dirla Bersani e
perfino un elettore deluso del Pdl. Certamente, per ragioni di buon
gusto, non deve però uscire dalla bocca polveriniana. La signora deve
infatti la vittoria del 2010 e la carica a Berlusconi e solo a lui. E
il Berlusca di allora non era diverso dall’attuale. Aveva già nel
carniere il bunga bunga, i pm alle calcagna, gli anatemi di Rosi
Bindi. Eppure, la Polverini ne ha cercato con tutte le forze
l’appoggio, implorato i consigli e fatto carte false per portarlo ai
suoi comizi.
Ecco come andarono le cose. Renata era da anni
segretario generale dell’Ugl, il piccolo sindacato di An. Era stufa e
ambiva alla politica. Il suo leader, Gianfranco Fini, la impose nel
dicembre 2009 come candidato governatore,
segando altri due aspiranti, sempre di An, Giorgia Meloni e Andrea
Augello. Il Cav- già abbastanza in rotta con Fini- accolse con
titubanza il nome di Polverini. Il suo era, infatti, l’opposto di un
identikit liberale essendo della destra sociale, ostile al mercato e
al capitale. Cioè, una sinistra di destra. Il suo motto più celebre
suonava: «Io sono di destra come Cicciolina è vergine ».Battuta che
ne indica l’educazione simpaticamente popolaresca e di grana grossa.
Queste invece le sue convinzioni ideologiche: «Liberista mai. Sono per un socialismo buono e una migliore distribuzione della ricchezza».
Con questi chiari di luna, comprensibile la diffidenza del Cav. Ma
poi, bonaccione com’è, si lasciò convincere e addirittura si
entusiasmò alla candidatura innaturale.
A questo punto Fini, che aveva messo in pista Renata per creare imbarazzi al Cav, si indispettì e tolse l’appoggio alla pupilla.«Faccia da sé la campagna elettorale, io come presidente della Camera non posso impegnarmi nella lotta politica», disse virtuosamente accampando una scusa che, col senno di poi, ne fa il re degli ipocriti.
Per Polverini fu una mazzata. Orbata dello sponsor
era fritta. Fu così che si attaccò al Cav come la cozza allo
scoglio. «Silvio qua, Silvio là», si mise in toto nelle sue mani, lo
trascinò ai comizi, dava interviste per lodarlo e tenerselo buono.
Si faceva fotografare allacciata a quello che oggi ritiene un paria ma
di cui allora diceva (nonostante la D’Addario):«Un istintivo che si
muove benissimo tra la gente. È un leader, mi dà una gran carica e chi
immagina una sua possibile caduta, assolutamente si sbaglia ». Così va
il mondo.
Torniamo all’intervista politica al Messaggero .
Il quotidiano, com’è noto, appartiene al genero di Pierferdy Casini. A
suo tempo, il leader Udc votò per Polverini governatrice.
Successivamente ha ospitato nello schieramento di
centro di cui è il cacicco, i profughi del Fli, la setta di Fini. Si
può dunque pensare, che Casini offra la sponda centrista a Renata- in
uscita dal Pdl- e un ponte per riavvicinarla a Gianfry.
Senza
dubbio l’affinità di Polverini col mondo finiano è infinitamente
maggiore a quella col Berlusca. Delle sue idee sappiamo già qualcosa,
ma anche nello stile muliebre è più Fli. La finiana per eccellenza è
Flavia Perina, una virago. Dell’amazzone ha molto anche Renata. Il
suo fascino è rude, cosa che piace parecchio agli uomini, e non le manda
a dire. Alcuni mesi fa, fu fischiata in un comizio a Genzano, sui
Colli Albani. Reagì chiedendo ai manifestanti di tacere perché «questa è
la democrazia, dovete farvene un c.. zo di ragione». Poi,siccome uno
continuava a inveire, urlò: «Nun me faccio mette’ paura da ’na zecca
come te».
Indossa sempre i pantaloni. In casa, anche in senso figurato. È femminista, di un femminismo spiccio e pratico. Nell’Ugl ha fatto largo alle donne. In Via Margutta- la sedegli uomini erano panda, si incontravano solo signore decise come la capataz. Renata aveva imposto questa regola: «A parità di merito, il posto va alle donne». «Che cavolo di regola è?», le ho chiesto. «La regola di quando comanda una donna», ha replicato da impunita. Messa così sembra franca e sincera. Invece, come si vede nel salto della quaglia che sta compiendo, ha un temperamento alla Fini e, se le serve, mente sapendo di mentire. Un mese prima di candidarsi per la Regione, le fu chiesto se pensava di lanciarsi in politica.
Replicò come a una bestemmia, con gli occhi fissi e severi sull’interlocutore: «Sono segretario Ugl. Molti hanno scommesso su di me. Il mio posto è qui».Meglio perderla che trovarla.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.