L’instabilità del presente

Niente di meglio che un’immagine della fisica per definire l’inconsistenza - concretissima, però, e fisicamente tangibile -, la precarietà risucchiante e travolgente, la mutevolezza trascinante e perfino inebriante della moderna Vita liquida. La sceglie il sociologo Zygmunt Bauman, in un saggio (Laterza, pagg. 190, euro 15) che, nel mare magnum delle meditazioni sulla fatale fluidità che ci affligge, si tiene per audacia di equilibrismo teorico e slancio di sense of humour sulla cresta dell’onda. E niente di meglio che una metafora sportiva per suggerire un rimedio a chi le ondate della moderna liquidità rischia in tutti i momenti di vedersele spalancare sotto i piedi. «Pattinando sopra il ghiaccio sottile, la nostra speranza di salvezza sta tutta nella velocità», cita Bauman dalle leggi di Prudenza di Emerson.
Ma il ghiaccio è rotto da un pezzo. E allora accanto all’insegna che lo studioso anglo-polacco appone all’ingresso della sua panoramica sociale - cartello stradale che, una volta tanto, invita a premere sul pedale dell’acceleratore - si può mettere l’adagio popolare secondo cui, quando l’acqua sale, o si annega o si impara a nuotare. Questo Bauman, che è evidentemente uno sportivo, lo sa benissimo. E perscruta con immaginifico disincanto tanto le acque agitate che hanno rotto la calotta e tutti gli argini, quanto gli atleti che, forti di gambe e di fiato, sapranno affrontarle.
Intanto la situazione, che è quella di un allagamento universale. Nella «società liquido-moderna» la marea ha inghiottito ogni cosa e non c’è nulla che si salvi. Dallo status professionale: incerto anche per il privilegiato che ne abbia trovato uno, malfermo anche per chi poggi sull’ubi consistam che vacilla con la sicurezza di un’azienda e con l’affidabilità dei suoi partner. All’identità esistenziale: ossessionata fino ai limiti della nevrosi e della psicosi per chi, spesso privo di collocazione e di una qualifica lavorativa, sta appeso alla rete/trappola delle amicizie o si regge sulla fragile volontà dell’autostima, la volatilità della reputazione, la volubilità delle tendenze e delle mode. Dall’esemplarità dei modelli etici: vip, star e celebrità hanno preso il posto dei santi, dei martiri e degli eroi. A quella dei modelli politici: «Chi è disposto a morire per Romano Prodi?», chiede testualmente Bauman con una battuta. E poi la solidità dei beni patrimoniali: sempre meno durevoli, minacciati di dissolversi, liquefarsi e, se già liquidi in senso monetario, inesorabilmente soggetti a svalutarsi. O il patrimonio un tempo solidissimo delle conoscenze e delle esperienze: presto invecchiate, datate, obsolete e in men che non si dica superate. Gli oggetti di consumo: quanto mai deperibili, corruttibili, anche quando non vadano conservati in dispensa o in frigorifero (un software di due anni già non è più compatibile con gli ultimi programmi informatici, e provate un po’ a cercare in libreria il romanzo che recensivamo per voi alla vigilia di Natale). E le relazioni sentimentali già consumate: da chi, seduttore infaticabile o amatore incontentabile aspiri «alla libertà negli affetti e alla revocabilità degli impegni».
È, in un caso come nell’altro, una malattia del desiderio: che intacca l’amato bene come ogni bene di consumo. Ed è, in tutti i casi, un’epidemia: la cui ondata di contagio si abbatte con l’irresistibilità di una forza maggiore. «La promessa di gratificazione - scrive Bauman - è allettante solo finché il desiderio non è stato soddisfatto, e la società dei consumi rende permanente la non-soddisfazione»: si consolino, o si reputino perciò giustificati, gli eterni scontenti sempre indecisi a tutto. Anzi, «è proprio la mancata soddisfazione che fa volare l’economia»: che fa scorrere la corrente e girare le macine dei mulini. Pazienza se chi sale sulla giostra per mettersi in gioco resta sospeso sul vuoto, in attesa, «nell’assenza»: sul pelo dell’acqua o del ghiaccio sottile. I più arrischiati, i meno inclini a divertirsi in questo gioco, sono i giovani: «Generazione instabile: di precari, flessibili o polimorfi?», si chiederanno domani i commensali (tra gli altri Abruzzese, Cruz e Santiago Zabala) alla tavola rotonda apparecchiata all’Auditorium romano Parco della musica (ore 18) per il Festival di Filosofia che si apre oggi e si chiuderà domenica intitolato, guarda caso, all’Instabilità. Destabilizzati però sono ormai anche capisaldi della politica (ne diranno Esposito, Cacciari, Severino e Savater) e le certezze della scienza (Boncinelli, Odifreddi, Morris, Zellini), i canoni dell’educazione e dell’urbanistica (Augé, Marramao, Portoghesi, Vattimo) o quelli della comunicazione e dell’arte (Givone, Grezzi, Curi).
Meglio tenersi allenati allora: veterani o juniores che si sia. Meglio imparare dai campioni: da un outsider come Bill Gates, per esempio: premiato «dalla facilità con cui sa distruggere ciò che ha creato», ammette Bauman. O, suggerisce il sociologo, da tutte le «persone leggere, briose, volatili come l’industria e la finanza.

I nomadi, gli egoisti, gli edonisti incuranti dell’avvenire e schiacciati sull’eterno presente» che, da abili pattinatori - o squaleschi nuotatori -, nella vita liquida sanno compiere a proprio rischio - e per l’altrui pericolo - evoluzioni e prodezze.

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