L’INTERVISTA 4 FABIO SCHIAVO

Quando esce un libro su fumetti già diffusissimi, ma ora rarissimi, significa che la corsa del pendolo torna dal mito di massa al culto di nicchia. È il caso de I Beatles a fumetti di Enzo Gentile e Fabio Schiavo (Skira, pagg. 240, euro 39), che unisce le pagine più disparate - uscite nella Spagna di Franco e negli Stati Uniti di Johnson, nell’Italia di Segni e nell'Argentina del secondo Peron - provenienti dalla collezione Schiavo, «firma» del mensile Rolling Stone. Una «s» in più e - per un fan come lui dei Beatles - quella testata parrebbe contraddittoria.
Signor Schiavo, lei è del 1960. Quando lei cominciava ad ascoltar canzoni, i Beatles si separavano. Lei è un nostalgico per principio?
«Ho scoperto i Beatles da bambino, grazie a mio padre. Lui vedeva nei Beatles rivoluzionari simili, per trasgressività, ai legionari fiumani di D’Annunzio».
Signor Schiavo, i ribelli si somigliano sempre.
«Ma lo sberleffo di Back in the Ussr è indicativo».
Dunque?
«Ciò irritò ancor più chi nei Beatles vedeva la quinta colonna comunista nell’American Way of Life».
I Beatles erano genericamente anti-sistema. Non erano l'icona di chi credeva nell'onore e nella disciplina.
«Però i Beatles avevano il culto dell’amicizia virile. Quanto al pacifismo, dilagato contro la guerra americana in Indocina, accomunò anche molti ragazzi neofascisti».
Ma il mito Beatles era libertario!
«Certo, eppure, con Revolution, i Beatles irridevano i protestatari di professione, che li volevano mungere».
Nel 1962, quando i Beatles si imponevano, Brigitte Bardot non si fece mungere dall’Oas, che voleva l'Algeria francese, come Le Pen. Ciò non le ha impedito di pensarla come lui, dopo.
«I Beatles s’apparentano ai fascisti “di sinistra”: erano contro la bruttezza della contro-civiltà contemporanea, delle sue case e fabbriche, degli abiti, del grigiore, contro l’inumanità delle metropoli, della spersonalizzazione progressiva degli uomini, della fine del vero amore».
È per vero amore che i Beatles disprezzavano gli ebrei?
«Perché davano del finocchietto giudeo a Brian Epstein, il loro manager? Ma era solo antiebraismo proletario».
Se Epstein fosse stato cattolico, i Beatles l’avrebbero chiamato finocchietto papista! E poi erano promiscui, non padri di famiglia!
«Quale ventenne, inseguito da ragazze scatenate, non se la spasserebbe?».
Irregolari, i Beatles piacevano ad altri irregolari. Ma erano anche opportunisti e cantavano la droga per pagarla meno.
«Ci sono passi sulla droga nelle loro canzoni».
E I'm Fixing a Hole?
«Non era un inno al buco!».
Che cos’era?
«La constatazione che una casa di campagna andava ristrutturata».
E Lucy in the Sky with Diamonds non reca l’acronimo di LSD?
«Nei titoli inglesi, anche i nomi comuni si scrivono maiuscoli, mentre articoli e proposizioni no!».
Dunque?
«La canzone alludeva a un disegno del figlio di John Lennon».
Tutto un equivoco?
«No, i Beatles scherzavano col fuoco.

Talora si drogavano, come D’Annunzio, Malaparte, Juenger, Drieu la Rochelle, Valenti e la Ferida, Goering... E altri non-allineati: Castaneda, Philip K. Dick, Baudelaire, Coleridge, Rimbaud… Possiamo, per questo, fare a meno di loro?».

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