"L’Occidente ti rende impura". Reclusa dal marito

Genova, giovane marocchina picchiata e chiusa in casa per tre anni. Fugge solamente grazie alla distrazione della suocera

"L’Occidente ti rende impura". Reclusa dal marito

da Genova

In lacrime, con addosso soltanto il pigiama, le braccia protese a chiedere aiuto. E la disperazione sul volto olivastro, all’apparenza giovane, ma già segnato dalla sofferenza: l’hanno vista così, le prime persone che si sono strette intorno a lei, in pieno giorno, sulla strada che sale verso le alture di Prà, nel ponente genovese. Il quartiere è una foresta di cemento, tante case popolari e altrettanti problemi di convivenza fra probi e malavitosi. Ma la solidarietà non manca, la gente di qui non fa mai finta di niente, non si gira dall’altra parte quando vede che bisogna dare una mano.
La ragazza si agita, poi riprende a singhiozzare, mostra segni evidenti di percosse. Ma aiutarla, una parola! Anche perché lei parla un linguaggio incomprensibile. Arrivano i carabinieri, poi un interprete che sa di arabo. E viene fuori la storia che è un incubo, che non vorresti mai ascoltare: la storia di E.H., origine marocchina, ventenne appena, ma già sposata da cinque con un manovale di 23 anni che lavora a Genova e abita con la madre in una casa del quartiere. In quella casa c’è anche lei, la moglie. Solo che «da tre anni - racconta adesso a fatica - vivo chiusa a chiave in una stanza, loro due non mi lasciano mai uscire se non per andare al gabinetto. Ma fuori casa, mai. Dicono che non devo essere inquinata dall’Occidente...».
Per due anni, dopo il matrimonio, E.H. è rimasta in Marocco, presso la sua famiglia, coltivando la speranza «che un giorno, lui mi ha promesso che mi fa venire a Genova, vivremo insieme, ci vogliamo bene». Il momento giusto arriva: il viaggio dal Marocco al capoluogo della Liguria, dal passato al futuro... Ma il marito, che ha un regolare permesso di soggiorno in Italia e sembra ormai perfettamente integrato nella società occidentale, mette subito le cose in chiaro: «Tu da questa stanza non ti muovi, devi restare pura».
L’integralismo islamico c’entra, ma allora cos’ha a che fare con le botte, le violenze morali, le privazioni cui la sottopone periodicamente il consorte con l’«assistenza» della madre? La giovane moglie intanto subisce due aborti, per qualche tempo spera che le cose cambino in meglio, che lui e la suocera la smettano di tormentarla. Niente da fare: «Guai se esci, guai se entri in contatto con questo mondo schifoso!». E.H. non si rassegna: più la picchiano, più le infliggono sofferenze, più lei trova rifugio nella voglia di affrancarsi, un giorno o l’altro, finalmente. Comincia a pensare di evadere, da quella prigione.
L’occasione capita l’altro pomeriggio, quando il marito è fuori e la suocera si distrae un attimo e dimentica di chiudere come sempre la porta della stanza con la chiave. La ragazza, che non vede il cielo da tre anni, ne approfitta. Con le forze che le restano, con il «vestito» che indossa da mille giorni, ogni minuto della vita, scappa in strada. È qui che la trovano, è qui che la soccorrono, è qui che cercano di restituirle la speranza. Ora E.H., marocchina da tre anni a Genova senza aver mai visto Genova, è affidata a un istituto religioso. Le suore cercheranno di curarle le ferite del corpo - i medici hanno accertato «numerose ecchimosi ed ematomi» - e soprattutto dell’animo. I carabinieri, nel frattempo, hanno rintracciato il marito e sua madre.

È scattata la denuncia per entrambi: sequestro di persona e maltrattamenti per lui, favoreggiamento per lei. Denuncia a piede libero, comunque. Mentre lei, E.H., vent’anni di cui tre «vissuti» fra quattro mura, riesce appena adesso a capire cos’è la libertà.

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