«L’ombra dell’Iran dietro il sequestro»

De Gregorio: «Un capo militare di Teheran mi ha rivelato che all’Italia fu offerta la pace in Afghanistan e in Libano»

Molti tengono la bocca chiusa sul delicato caso dei militari italiani rapiti in Afghanistan, ma il presidente della commissione Difesa del Senato, Sergio De Gregorio, non ha peli sulla lingua e chiama in causa l’Iran. Il parlamentare racconta anche della proposta di «non belligeranza» in zone di crisi come l’Afghanistan e il Libano, dove sono impegnati i nostri soldati, offerta all’Italia da un importante generale di Teheran.
Che missione stavano svolgendo i due militari italiani scomparsi?
«Da quanto mi ha detto il ministro della Difesa Parisi si tratta di due sottufficiali che svolgevano funzioni di relazione con le autorità istituzionali afghane e la popolazione civile della provincia di Herat. Gli uomini che fanno questo lavoro sono militari addestrati anche a recepire informazioni e svolgono un compito che può dirsi vicino a quello dell’intelligence. In ogni caso vorrei sottolineare che non credo nella casualità dell’evento».
Vuole dire che non si tratta di un rapimento da parte di clan etnici in guerra fra loro, ma di qualcosa di più grave?
«È evidente che la zona dove sono scomparsi è vicino al confine iraniano. Fonti afghane riferiscono dell’ipotesi che sarebbero in mano a clan locali per chiedere un riscatto. Per quello che so dell’area, immagino che pure se fossero stati intercettati da banditi probabilmente finiranno in mano a gruppi ben più organizzati. In questo momento la rete di Al Qaida e le fazioni talebane sono quelle che hanno maggiori mezzi e controllo sul territorio».
Sta dicendo che verranno passati di mano?
«Finiranno in mani accorte e attente che trasformeranno questa vicenda in un caso politico. Chi le dice che l’Iran non abbia interesse a sollevare una crisi, anche in termini mediatici sul rapimento, per allontanare l’attenzione dal nodo nucleare nel momento in cui anche un Paese europeo (la Francia, nda) ha parlato di guerra contro Teheran? Il fatto che gli iraniani possono contare su un controllo e un’influenza molto forte sulla regione (l’Afghanistan occidentale, nda) lascia immaginare che non si lasceranno sfuggire l’occasione di gestire la situazione. Non basterà pagare un riscatto per superare questa crisi».
Cosa c’entra l’Iran con il rapimento dei due militari?
«Le autorità iraniane offrirono tempo fa all’Italia una sorta di controllo politico delle aree di crisi. L’Iran finanzia gli Hezbollah in Libano, alcune cellule talebane di ex signori della guerra in Afghanistan e così via».
Ma gli iraniani hanno sempre odiato i talebani...
«Le rispondo ricordando le parole di Jaafari (un influente capo militare di Teheran, nda), a suo tempo numero due del Supremo consiglio di sicurezza iraniano. Mi disse che se avessimo portato avanti le istanze dell’Iran presso la comunità internazionale, come la questione nucleare, e se fossimo diventati portavoce della mediazione per la liberazione dei due ostaggi israeliani rapiti dagli Hezbollah (il cui sequestro fu la causa scatenante della guerra con Israele dello scorso anno, nda) l’Italia avrebbe potuto guadagnare una sorta di pax sul territorio con le fazioni talebane più importanti in Afghanistan e con gli Hezbollah in Libano. Una sorta di pace mediata nelle aree di crisi in cui ci stiamo muovendo».
Quando le è stata fatta questa proposta?
«Circa otto mesi fa, quando per motivi umanitari cercavo di caldeggiare la liberazione dei due militari israeliani ostaggi di Hezbollah e del soldato catturato a Gaza dai palestinesi. Subito dopo, quando abbandonai la trattativa, il negoziato venne offerto al nunzio apostolico a Teheran monsignor Mottola al quale fu detto che i due militari erano in territorio iraniano e stavano bene. Il generale Jaafari era il numero due del Supremo consiglio della sicurezza e adesso mi sembra sia stato chiamato a comandare le migliori forze militari iraniane (Mohammed Alì Jaafari da poco scelto per guidare i Pasdaran, nda)».
Il 6 settembre gli americani hanno intercettato un carico di micidiali armi proveniente dall’Iran nella provincia di Farah, sotto controllo italiano. Ci passano sotto il naso?
«Dire che gli iraniani non hanno nulla a che fare con i talebani è una bugia grande come un palazzo.

Sappiamo da tempo, dai rapporti dei servizi di sicurezza, che sono interessati all’irachizzazione del conflitto afghano. Dire che il confine con l’Iran è un colabrodo è poco e noi non abbiamo né i mezzi, né le forze per controllarlo».

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