La dichiarazione più democristiana è quella di Pier Ferdinando Casini: «Abbiamo piena fiducia nei magistrati e anche in Naro». Esercizi di equilibrismo nel tentativo di tenere insieme le indagini sempre più dirompenti sugli affari obliqui legati a quel colosso chiamato Finmeccanica e gli interessi di bottega. Una bottega, l’Udc, che, nel febbraio dell’anno scorso, avrebbe incassato sottobanco duecentomila euro, incamerati dal deputato Giuseppe Naro. Non un parlamentare qualsiasi, ma il segretario amministrativo. Per Casini questa è una tegola che non ci voleva, un incidente che rischia di rovinare il momento fortunato legato alle scelte strategiche del partito centrista. Si sa, almeno fino a oggi, Casini è il vero vincitore della partita che si è appena conclusa con la caduta del governo Berlusconi e la nascita del nuovo esecutivo, guidato dal professor Mario Monti. Casini è stato fra gli artefici del logoramento del Cavaliere e ora punta a scomporre il Pdl e a ridisegnare la geografia politica italiana.
L’Udc vuole essere percepita come un partito coerente, capace di resistere ala tenaglia dei due poli e di guardare avanti nell’interesse del Paese. Così questa storia di euro che rimanda alle solite vecchie operazioni ai confini della legalità già portate a galla da Mani pulite potrebbe deformare l’immagine della formazione politica, togliere la vernice dell’euforia e farla precipitare nel gradimento dell’opinione pubblica come un residuato del passato, una scheggia della vecchia galassia democristiana sopravvissuta miracolosamente a tante mutazioni.
Sia chiaro, siamo solo all’inizio e l’accusa, peraltro non particolarmente grave perché si parla di finanziamento illecito, è tutta da dimostrare. Ma il segnale che arriva dalle procure, dopo qualche settimana di tregua, è importante e macchia l’immagine positiva che il partito di Casini si è costruita in questi mesi e ha presentato all’opinione pubblica come un biglietto da visita. L’Udc ha lanciato il governo Monti come un missile e si è immersa nel fonte battesimale del governo tecnico, accreditandosi come estranea ai vecchi riti della partitocrazia. Ora c’è quella spina, per ora solo una spina, da togliere. E tutti provano ad attutire il colpo, sfoggiando fair play, a cominciare dal protagonista presunto di questo episodio, Giuseppe Naro. «Si tratta di un atto dovuto - spiega il parlamentare - da parte dei magistrati, nella cui serietà confido totalmente».
Sarà l’inchiesta a chiarire le eventuali responsabilità. Per ora siamo al gioco delle parti. In casa Udc si esercitano i pompieri, altrove qualcuno guasta quel clima di concordia, da marmellata nazionale, sceso come un velo sul parlamento. Antonio Borghesi, vicepresidente dei deputati dell’Italia dei valori, non fa sconti: «Il governo faccia pulizia in Finmeccanica e Casini faccia pulizia in casa sua». E un altro deputato dipietrista, Francesco Barbato, fresco del taglio della chioma, si rivolge direttamente a Monti: «Commissari tutti gli enti a capitale pubblico di Finmeccanica, da Alenia a Fincantieri e all’Enav». Non solo: «Il premier - prosegue Barbato - stia attento al suo sponsor terzopolista. Con alcuni suoi uomini di punta - Pomicino, De Mita, e ora il tesoriere Udc coinvolto con altri nello scandalo Enav - potrebbe riciclare o resuscitare gli uomini in stile Tangentopoli».
Anche il vicepresidente dei senatori del Pdl Francesco Casoli torna sull’argomento e lo lega alla Tangentopoli di Sesto San Giovanni, tutta di marca Pd: «I nemici del bipolarismo muscolare diranno che in una fase di tregua non si dovrebbe parlare del sistema Sesto, come dello scandalo Enav. Va bene la tregua, ma non il silenzio». Alla prossima puntata.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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