L’ultima barricata delle toghe contro la riforma

RomaScalpitano. Resistono. Non si arrendono. Ai magistrati la riforma della giustizia non va giù e non fanno nulla per nasconderlo. Anzi, parlano anche se non interrogati. La sesta commissione del Csm si esprimerà sulla riforma costituzionale destinata a introdurre la separazione delle carriere e quindi un doppio consiglio superiore, uno dei giudici e l’altro dei pubblici ministeri. Un parere, quello dell’organo di autogoverno della magistratura, irrituale se non addirittura illegittimo: secondo il Pdl, il Csm non potrebbe esprimersi su provvedimenti legislativi senza un’esplicita sollecitazione del ministro della Giustizia, che il titolare Angelino Alfano si è ben guardato dal fare. Ma ormai la strategia di Palazzo dei Marescialli è questa: martedì prossimo nel corso di una seduta straordinaria la sesta commissione si esprimerà sull’emendamento Pini alla legge comunitaria, che introduce la responsabilità civile dei giudici anche per manifesta violazione del diritto. Il 6 aprile, poi, il plenum del Csm discuterà della prescrizione breve. Tutti pareri non richiesti, un fuoco di sbarramento di «no» per impedire che qualcosa cambi nella gestione della giustizia. Anche a costo di paralizzare le Procure.
Iniziative che vengono duramente criticate dai membri laici di centrodestra del Csm, che esprimeranno il loro dissenso in un documento da inviare la prossima settimana al vicepresidente Michele Vietti e al presidente della sesta Commissione, il togato di Magistratura democratica Vittorio Borraccetti). I consiglieri del centrodestra hanno annunciato la loro intenzione di opporsi agli interventi «politici» del Csm che, precisano, non può «fare le pulci alle Camere».
I magistrati infatti fanno opera di sbarramento anche in ordine sparso. Ieri un colpo l’ha sparato il pm di Milano Armando Spataro che, in Toscana per la consegna di un premio, non ha perso occasione per far sapere che la riforma costituzionale della giustizia è da respingere «nel merito e nel metodo» perché «scavalca il normale iter di riforma costituzionale e rimanda a future leggi ordinarie i punti fondamentali». Addirittura minaccioso Francesco Greco, capo del pool per i reati finanziari della stessa Procura meneghina: «Con la riforma della giustizia si passerà da “Mani pulite” a “Mani libere”. Se il Parlamento deciderà che non si deve più indagare sulla corruzione io dovrò disapprovare quella legge perché la Costituzione mi impone di farlo. E andrei anche contro il diritto intenazionale». Per Umberto Bossi, ministro delle Riforme, questa resistenza è solo corporativa: «I giudici non possono non pagare mai oppure mettersi d’accordo fra di loro, mentre ci sono poveracci che vengono condannati magari ingiustamente». Di «forzature» parla invece Pier Ferdinando Casini, secondo il quale quella del governo non è «la riforma giudiziaria che interessa i cittadini» ma quella che interessa Berlusconi. «Alfano - attacca il leader dell’Udc - non ha fatto seguito alle promesse fatte. Abbiamo detto che saremmo stati disponibili al dialogo sulla riforma della giustizia ma non seguiremo le ossessioni giudiziarie del premier».

«Le parole di Casini sono ingiuste e ingenerose nei confronti del grande sforzo che il ministro Alfano sta affrontando per riformare e migliorare la giustizia del nostro paese», risponde Enrico Costa, capogruppo Pdl in commissione Giustizia alla Camera.

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