L’uomo che ha visto la morte per 400 volte

Da 28 anni Graczyk racconta solo esecuzioni. Senza debolezze. Tranne una

L’uomo che ha visto la morte per 400 volte

Michael Graczyk ha visto morire 400 persone. Per 400 volte, seduto dietro una parete di vetro, ha visto un uomo entrare in una piccola stanza di color verde ospedale; le guardie aiutarlo a sdraiarsi su un lettino e applicare al suo corpo le cinghie di cuoio previste dalla legge. Poi le iniezioni letali, alla gola e alle braccia: un potente sonnifero, un veleno per paralizzare i muscoli, un altro per fermare il cuore. Per 400 volte ha sentito il respiro del condannato farsi più leggero e, dopo un piccolo sussulto, cessare del tutto. Per 400 volte si è alzato e in un piccolo ufficio a fianco ha scritto la cronaca di quello che era successo.
Michael Graczyk fa il giornalista, lavora alla sede di Houston dell’agenzia Associated Press. E dal 1984 è incaricato di seguire le esecuzioni dei condannati a morte nello Stato del Texas. È un lavoro impegnativo, un po’ discontinuo. L’ultima esecuzione è stata nel mese di gennaio. In altri periodi ce ne sono anche tre la settimana. Lui ne ha mancate poche, pochissime. In pratica solo per le ferie e per qualche impegno davvero indifferibile. Nessuno al mondo è in grado di vantare la sua esperienza su come muore un uomo. Nessuno, né guardie carcerarie, né boia, né sacerdoti, è riuscito a guardare in faccia l’abisso per così tanto tempo. Uno dei suoi predecessori alla redazione di Houston toccò quota 189 esecuzioni. Poi ebbe una crisi di coscienza, scrisse un libro e divenne uno dei più impegnati militanti contro la pena capitale. Graczyk, a 61 anni, di problemi non ne ha: «È peggio assistere a un incidente stradale. Con l’iniezione letale sembra di vedere un uomo addormentarsi». Difende il suo ruolo di testimone dell’opinione pubblica e si rifiuta di dire come la pensa sulla pena di morte: «Il mio lavoro è raccontare una storia e riferire quello che è successo. Se mi faccio coinvolgere emotivamente mi espongo alle critiche». Quando assiste a un’esecuzione deve scegliere se stare nella stanza riservata ai parenti delle vittime o in quella riservata ai parenti del condannato. Di solito sceglie le vittime. Ma solo perchè, ha spiegato, dopo che il condannato è morto è più facile uscire e scrivere alla svelta il «pezzo».

Anche il racconto di come è nata la sua specializzazione è concreto e poco sentimentale. «Un tempo le esecuzioni avvenivano a mezzanotte e nessuno dei colleghi voleva andarci. Io abito a metà strada tra il carcere di Huntsville, dove le condanne vengono eseguite, e Houston. Per me era abbastanza comodo tornare a casa. Era la soluzione migliore». Con il tempo, però, Graczyk si è appassionato. Ha iniziato a seguire la vita dei condannati, che tra appelli e ricorsi alla Corte suprema trascorrono anche 10 anni nel braccio della morte. Di alcuni è diventato amico. Li visita in carcere per lunghe chiacchierate nel parlatorio. Uno, mentre era già legato al lettino per l’iniezione lo ha salutato ad alta voce. «Hey Mike, come ti va?». Un altro, a cui era stata concessa l’ultima telefonata, lo chiamò sul telefonino un’ora prima dell’esecuzione: «Tutto bene dalle tue parti?». Graczyk l’ha raccontato a un giornalista senza nascondere la sua incredulità: «Stava per morire e pensava al sottoscritto. Strano, vero?».

Il suo ruolo è diventato più importante nel tempo. Fino a qualche anno fa un paio di quotidiani del Texas mandavano alle esecuzioni un loro giornalista. A loro si aggiungevano, nei casi più importanti, gli inviati dei giornali nazionali. Poi anche nelle redazioni Usa è arrivato l’ordine di risparmiare su spese e trasferte. Ora Graczyk è quasi sempre da solo e tutti i giornali del Paese riprendono i suoi servizi. Spetta a lui riferire al mondo il testamento dei condannati texani. L’ultimo, Rodrigo Hernandez, giustiziato il 26 gennaio, pochi minuti prima delle iniezioni letali ha chiesto di parlare con un Ranger e gli ha confessato i due omicidi di cui era stato accusato e che durante il processo aveva sempre negato. Sul lettino ha detto: «Vi amo tutti». E mentre il sonnifero faceva effetto ha aggiunto: «Questa roba punge».

A raccontarlo è naturalmente la cronaca dell’Associated Press, come sempre nel giornalismo americano, precisa e impersonale.

A volte, però, perfino il distaccato Graczyk tradisce un disagio nascosto. A un collega ha raccontato che anni fa un condannato sul punto di morte si mise a cantare una melodia natalizia, «Astro del Ciel». Da allora, è più forte di lui, quella canzone non riesce più ad ascoltarla.

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