L’urlo dei piccoli, stanchi di aiuti ai soliti noti

«Dallo scorso anno non è cambiato nulla. Sento qualcuno dire che c'è un po' di movimento... Sarà, beati loro», si sfoga perplesso Alberto Vanzini, contitolare della F. lli Vanzini di Jerago con Orago, una delle aziende più antiche della provincia di Varese, iscritta dal '47 all'Associazione artigiani: tessera numero 84. La sua storia è il paradigma di questa Italia imprenditoriale del Nord che si ostina a resistere tra mille difficoltà congiunturali e, ancor peggio, tra mille ostacoli. Peggio perché se le difficoltà sono oggettive, gli ostacoli invece no. Quelli te li mettono tra le gambe le banche, il fisco e se non bastasse anche i grandi gruppi ai quali devi garantire forniture o subforniture. Grandi gruppi che poi, quando si tratta di pagare... «be’, ripassi domani». Domani che può voler dire spesso parecchi mesi, se non un anno intero. Domani che se sei piccolo rischi di non riuscire mai più a vedere.
«Fino allo tsunami della crisi piombatoci addosso nel 2008, avevamo 14 dipendenti e gli impianti che giravano 24 ore su 24. Poi, in soli quindici giorni, il crollo. Ora siamo scesi a sei addetti, con la segretaria in cassa integrazione mezza giornata. Quanto alle macchine, se va bene girano 8 ore al giorno. Sono mesi che io stesso e il mio socio lavoriamo in produzione», prosegue Vanzini con il tono di chi, nonostante tutto, pare però uno difficile da fermare. Ti racconta dei tanti colleghi - «mi chiedo davvero se noi non siamo dei autentici cogl... , pardon dei veri imbecilli», si sfoga - che hanno ipotecato la casa e quant'altro avevano, che hanno raschiato il fondo dei risparmi di tutta la famiglia. «Siamo al capolinea, circondati. O in due o tre mesi riparte qualcosa, o sarà impossibile continuare».
Storie così se ne nascondono tante, dietro le cifre delle imprese Cenerentola, quelle con una media di meno di dieci addetti. «Proprio quelle che rappresentano però il 95% dell'imprenditoria nazionale e che creano per di più ogni anno l'80% dei nuovi posti di lavoro. Ricordiamocelo», sottolinea con la sincera veemenza che lo contraddistingue Giuseppe Bortolussi, presidente degli artigiani di Mestre (Cna). Gli fumano, a Bortolussi, quando gli parli di possibili nuovi aiuti alla Fiat. «Ogni provvedimento a favore della rottamazione, utilizzando oltretutto soldi pubblici, significa decine di migliaia di posti di lavoro persi nella manutenzione, settore che tra l'altro fa risparmiare tantissimo in materiali ed energia. È gente anche quella, gente che deve portare i soldi a casa. Però non sale sulle torri o sulle gru per raccogliere attenzione con quello che una volta si chiamava il "ricatto occupazionale". Dispiace che la stessa attenzione non venga prestata a chi lavora nelle micro imprese».
Le cifre preoccupano, per non dire che allarmano. Sempre in Veneto, anche in quella Marca Trevigiana che tutto sommato regge più brillantemente che altrove (meglio tacere del polo di Marghera, un disastro senza più apparente via di ritorno), sono state 183 le aziende che nel 2009 hanno avviato procedure di crisi, con 5.500 lavoratori a rischio. Senza dimenticare che nella stessa provincia, ora un po' meno Gioiosa, da gennaio a novembre 2009 sono stati 14 milioni le ore di cassa integrazione a fronte dei 2,3 milioni dell'analogo periodo 2008. Mentre nel Varesotto, storicamente una delle zone più produttive d'Italia, «i posti cancellati dall'inizio della crisi sono 5mila, ai quali si aggiungono 60mila unità in cassa integrazione», dice il presidente della locale Cna, Daniele Parolo, collocando la perdita occupazionale al 20% e quella del fatturato a meno 25%. «Non capisco questa esultanza per un più 0,5% di Pil; mi pare eccessiva, considerato che arriviamo da un meno 5%. L'aria è pesante e siamo stufi di sentir parlare ancora di aiuti a un'azienda che in passato ha già ampiamente pubblicizzato le perdite e privatizzato i guadagni. Azienda che per di più toglie ossigeno ai piccoli fornitori con prezzi strozzatissimi. Tutti fanno però finta di non sentire».
Tra i sordi, la vox populi mette in prima fila le banche. Con funzionari di filiale, «turnati» come trottole, che non hanno spesso neppure l'autonomia di concedere 5mila euro di fido di cassa.

«Banche che ti chiedono la copertura Confidi anche per i salvo buon fine», dice Vanzini. «Senza dimenticare - rincara Parolo - che ora la stessa Confidi, dopo l'impennata nella domanda di garanzie, cresciuta del 25% nel 2009, sta prudentemente frenando».

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