L'Aquila, così viene pilotata la rivolta dei terremotati

Dietro la "protesta delle carriole" un ex sessantottino affezionato alle manifestazioni di massa, un parlamentare democratico con il figlio al seguito, una presidente della Provincia regina del voltafaccia

L'Aquila, così viene pilotata 
la rivolta dei terremotati

L'Aquila - «Riprendiamoci la città». Meglio se con l’aiuto del Pd, bisognerebbe, per completezza d’informazione, aggiungere. Lo slogan-lenzuolo è steso in piazza Duomo e spacca in due il cuore di un popolo che ha già il cuore sufficientemente spaccato da 11 mesi. Tra gli scheletri del centro storico dell’Aquila, in cui si muovono solo tecnici, muratori, carpentieri e vigili del fuoco, si girano gli spot elettorali che puntano a far diventare ancor più rossa la zona rossa. La grande polemica sulle macerie del terremoto, che annientò queste terre e l’assalto alle transenne, che delimitano gli edifici inavvicinabili e la città che non può «essere ripresa», nascondono in realtà abili registi e vecchi lupi, non necessariamente marsicani, della politica locale e nazionale. Che forse con gli anni avranno perso pure il pelo, ma che non perdono certo il vizio di rimescolare, a proprio uso e consumo, le carte bollate e la clessidra di un tempo che i tempi della ricostruzione, forzatamente, impongono. Così, se fa tenerezza qui, dove corso Vittorio Emanuele finisce e si svolta in via San Bernardino, trovarsi davanti una coppia di anziani che, in sacrosante lacrime, accarezza le chiavi, che ha appeso fra altre cento, sulla famosa rete, fa meno tenerezza scoprire che c’è qualcuno che, questi disperati, se li sta lavorando a dovere. Non per nulla ieri il gran visir Bersani era da queste parti e non propriamente in visita turistica. Prendete l’accalorato presidente del «comitato di mobilitazione», Eugenio Carlomagno, oggi direttore dell’Accademia di belle arti, uno dei primi ad alzare le barricate contro il tandem Berlusconi-Bertolaso. All’Aquila, dove non si può bluffare, perché tutti si conoscono da sempre, vi diranno che l’uomo è un’ex sessantottino che, un po' come i soldati che si trovavano nella giungla, non si è ancora accorto che il ’68 è finito e, quindi con quest’animo, è rimasto aggrappato al traino del Pd. Pensate che cosa è riuscito a dire l’altro giorno, galvanizzato da tanta partecipazione di popolo alla protesta che l’ha riportato di colpo ai bei tempi andati: «Che se tutto non fosse rimasto fermo per quasi un anno, oggi il 25% degli abitanti del centro potrebbero essere a casa propria. Bastava decidere subito cosa fare, non recintare e basta. Bastava affrontare il centro pezzetto per pezzetto, individuare le case da abbattere e quelle da ristrutturare. Ci sono abitazioni del tutto agibili e altre che lo sarebbero con piccoli lavori che in questi mesi potevano essere eseguiti... ». Come se per rimettere in piedi le case, per ricostruire il centro storico, si potesse di colpo usare la bacchetta magica e fregarsene di quelle che sono le procedure di sicurezza. Nella protesta delle «mille chiavi», come passerà alla storia, così come in quella delle macerie da sgombrare, che adesso sono state sbattute dal sindaco pd, Massimo Cialente, che avrebbe dovuto occuparsene, sul tavolo di Bertolaso, c’è anche un tandem di famiglia che ha voluto afferrare le redini. Anzi un «duunvirato». Termine desueto, conveniamo con voi. Ma tant’è: ha cominciato un consigliere regionale a definirlo così e adesso ci si scherza sopra allo Chalet della Villa Comunale, il chiosco dei giardini, dove tutti gli aquilani, politici e no, transitano almeno una volta al giorno per un caffè. Trattasi di Giovanni e Mattia Lolli. Padre e figlio votati alla causa. Del centrosinistra. Che tutti hanno visto, fotografato e magari pure intervistato nel giorno delle mille chiavi («certa gente ama farsi fotografare e intervistare in giacca e cravatta - commenta con amarezza il leader del Mpa Giorgio de Matteis, vicepresidente del consiglio regionale - ma quella stessa gente non c’era a tirar fuori i morti quando tutto crollava»). Parlamentare, ovviamente pd, il padre, il figlio, Mattia, che è coordinatore del «comitato 3 e 32» guiderà la nuova protesta in agenda. Quella «delle carriole» in programma domenica mattina. Quando con secchi, contenitori vari e carriole, appunto, «la gente stanca delle promesse» del commissario straordinario Gianni Chiodi nonché presidente regionale (sì lo stesso che proprio ieri a Roma, magari sarebbe il caso il farlo sapere al duunvirato, ha avuto dal ministro Prestigiacomo la conferma che il 3 marzo sarà all’Aquila per porre mano al problema) raccoglierà a piazza di Porta Palazzo un po' di macerie e le rovescerà davanti all’emiciclo, sede del consiglio regionale. Sorride perfidamente, nelle retrovie, la «presidente provinciale più amata dagli italiani», Stefania Pezzopane, quella che, in questi mesi da «terremotata» è riuscita ad abbracciare tutto e tutti, Berlusconi compreso.

Ma, adesso che si è ricordata di essere Pd o il Pd glielo ha ricordato, se lo vuole arrostire nel fumo nella campagna elettorale. In cabina di regia c’è anche lei, se non soprattutto lei. Per questo merita una puntata monografica che ne ripercorra gesta, baci e abbracci. Promesso.

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