Leoncavallo «in gabbia», domani lo sfratto

Palazzo Marino: «Non hanno mai ripudiato la violenza, e vogliono restare fuorilegge». I «pasdaran» del centro sociale e di Rifondazione comunista: lotta per difendere lo stabile

Leoncavallo «in gabbia», domani lo sfratto

Consiglio ai milanesi, domani girate al largo da via Watteau. Motivo? C’è lo sgombero del Leoncavallo. E, attenzione, non è un’esercitazione bensì la svolta che - dopo anni di contenziosi e rinvii - mette la parola fine all’occupazione abusiva dell’ex stamperia in zona Greco.
Quattordici anni di illegalità spazzati via all’alba, nonostante i tentativi di travestire i globetrotter no global da illuminati «che fanno cultura, che agiscono nel sociale e che riescono sempre a trascinare migliaia di giovani» (Irma Dioli, assessore della Provincia di Milano) e «di fatto accantonando vent’anni e più di violenze nella città e contro la città» (Silvia Ferretto Clementi, consigliere regionale).
Dunque, è in agenda una mattinata al calor bianco, come anticipano gli stessi pasdaran dell’antagonismo metropolitano che, insieme a Rifondazione, difenderanno lo stabile «per rispetto alla memoria storica del centro sociale, per rispetto alla nostra coerenza e per rispetto a Fausto e Iaio» cantilenano le mamme (over settanta) degli autonomi (over quaranta) che da via Watteau non se vogliono andare. «Sul nostro grembiule è scritto: “L’unica lotta che si perde è quella che si abbandona“. Sia chiaro, la lotta continua. Qui siamo, qui restiamo».
Virgolettato che fa a pugni con il principio giuridico che «la legge è uguale per tutti». «Loro sono fuorilegge» ripete con chiarezza Giovani Terzi, assessore comunale ai Giovani e capodelegazione di Fi: «Come istituzione abbiamo offerto l’occasione di fare un passo avanti sulla strada della legalità, Gli è stato chiesto come pre-condizione di applicare le norme, di ripudiare la violenza. Risposta? Tutto come prima. Evidente, quindi, che l’area al civico 7 di via Watteau dev’essere sgomberata». E giusto per evitare fraintendimenti, Terzi annota: «Lo stesso ragionamento vale anche se la controparte non fosse il Leoncavallo, ma un qualsiasi centro sociale vicino all’area del centrodestra. Insomma, non ci possono né ci debbono essere privilegi per chi vive e opera nell’illegalità».
L’offerta di un processo di legalizzazione continua Terzi «è cosa arcinota agli autonomi» che, senza forse, «oggi preferiscono giocare al conflitto sociale: «C’è voglia di usare la piazza, di fare casino e far nascere confitti sociali inesistenti. Rischio di troppo, anche perché il bilancio del Leoncavallo è più che in attivo». Come dire: «Mentre i leoncavallini sulla stampa tirano in ballo la proprietà dell’area (il gruppo Cabassi, ndr) rispetto all’Expo, potevano accettare le pre-condizioni del dialogo e quindi mettere mano alla loro cassa per pagare l’affitto e giuridicamente affrontare il futuro». Già, il bilancio del Leoncavallo segna entrate (conto consuntivo 2006) per poco meno di seicentomila euro, di cui 456.649,94 per «somministrazione». Evidente che un esborso economico da parte dei Leoncavallini era possibile «se mai avessero davvero voluto raggiungere un’intesa con la proprietà dell’area» chiosa Matteo Salvini, deputato leghista.
Che rispolvera poi «il contributo milionario raccolto tra le personalità “illuminate“ della borghesia milanese grazie alle garanzie spese, tra gli altri dai consiglieri comunali Milly Moratti, Sandro Antoniazzi e il consulente della Caritas Alberto Guariso». Denaro incamerato dall’onlus “La città che vogliamo“ messa «in piedi dagli stessi leoncavallini nella stagione in cui trovarono amici anche nella Provincia guidata da Filippo Penati».

Passato remoto.
Difficile trovare oggi anche in via Vivaio, sede dell’amministrazione provinciale, qualcuno disposto a sostenere il Leonka, che dal vocabolario depenna il sostantivo «legalità». La musica è cambiata, già da domani.

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