Il Leonka sfugge al 16esimo sfratto, ma è rivolta

Gli abitanti del quartiere protestano: «Noi non abbiamo gli stessi diritti»

Graziati, ancora una volta. Anzi, la sedicesima volta. Quelli del Leoncavallo possono continuare a dormire sonni tranquilli. Lo sgombero è rinviato al 22 settembre per «assenza della forza pubblica». Che per i milanesi si tradurrà pure nell’ennesima litania di nuove tensioni e di sgomberi preannunciati, con tanto di ufficiali giudiziari che pretendono il conto. «E la recita continua» commentano gli spettatori di questa incredibile vicenda che inizia diciotto anni fa.
Sì, è dal 1994 che la famiglia Cabassi rivuole lo stabile di via Watteau e lo vuole anche la stragrande maggioranza dei cittadini. Certezza, quest’ultima, che poco interessa ai pasdaran dell’illegalità travestita da centro sociale. «Qui siamo e qui restiamo» dicono in coro mamme (e figli) antifascisti del Leonka che vagheggiano di un «accordo» con la proprietà «noi paghiamo l’affitto di ottantamila euro all’anno» e «loro acquisiscono il trasferimento dei diritti edificatori da questa a un’altra area».
Avete letto bene, «noi paghiamo l’affitto e loro ottengono i diritti edificatori»: equazione decisa senza il Comune di Milano cui spetta, secondo legge, la concessione dello scambio dei diritti edificatori ovvero una scelta urbanistica a favore degli occupanti abusivi di via Watteau. Soluzione che Palazzo Marino non raccoglie. «Il percorso di legalizzazione del Leoncavallo non può prescindere dal rispetto della legalità» chiosa Giovanni Terzi, assessore ai Giovani e capodelegazione di Fi nella giunta Moratti: «Sul tavolo c’è un documento che reclama la negazione della pratica della violenza e che i rappresentanti del Leoncavallo non hanno ancora sottoscritto». E se lo facessero? «Il ripristino della legalità è elemento discriminante» osserva Terzi, mentre Daniele Farina, portavoce del Leonka, commenta che «Palazzo Marino continua solo a parlare di illegalità e di violenza».
Virgolettato seguito dalla constatazione che «la proroga di sfratto dà più spazio per lavorare e trattare» ovvero «il tempo è utile se lo si usa». Verità sin qui sprecata dai no global che spregiudicatamente sfruttano l’occasione dello sgombero per continuare a recitare la parte di pietra miliare della resistenza e dell’antagonismo sociale.
Valori incomprensibili per chi, in zona Greco, è costretto a convivere con quel che resta del totem Leoncavallo: «Io, negoziante, l’affitto lo pago e loro no. Questa è la differenza che conta. E il risultato va però a loro favore» sostiene Egidio, edicolante di Melchiorre Gioia. Un «favore di troppo» continua Aldo dello storico vivaio a due passi dal centro sociale: «Di troppo perché incassano senza mai uno straccio di scontrino e questo è fuori da ogni regola civile e non solo commerciale».
Differenza valutata in seicentomila euro dalle parti di Greco, tra due stazioni ferroviarie, dietro la Bicocca, a poche centinaia di metri (in linea d’aria) dall’Arcimboldi: seicentomila euro è il bilancio del Leoncavallo targato 2006. Soldi che pesano e che, nel popolare quartiere di Greco, non aiutano a sposare la linea degli autonomi.

Non stupisce così che, all’alba, al presidio davanti a variegati graffiti ci siano i soliti noti: quelli che nel 1975 occuparono abusivamente un’ex officina farmaceutica, in via Leoncavallo e che oggi continuano abusivamente a recitare la trovata dell’alternativo che rende moneta contante.

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