Dalla tomba di Gesù ai tunnel dei vietcong: le storie (in)credibili dell'Oriente Estremo

Cristo si è fermato a Shingo, l'ultimo libro del giornalista Marco Lupis, raccoglie decine di reportage scritti in Asia tra il 2000 e il 2001. Il risultato è un racconto organico che propone ai lettori un Oriente che non esiste più

Dalla tomba di Gesù ai tunnel dei vietcong: le storie (in)credibili dell'Oriente Estremo

La “tomba di Gesù Cristo” sperduta nei territori settentrionali del Giappone. Le ultime Geishe dell'antico quartiere di Asakusa, a Tokyo. I tunnel dei vietcong in Vietnam, nell'inferno che costò la vita a migliaia di soldati americani. Per non parlare della “ferrovia maledetta” in Thailandia, della Corea del Nord e di altre storie bizzarre che hanno un unico, minimo comune denominatore: l'Asia, o meglio ancora, l'Oriente Estremo. L'ultimo libro del giornalista Marco Lupis si intitola Cristo si è fermato a Shingo (Marlin Editore) e, come recita il sottotitolo, comprende “Storie incredibili dell'Oriente Estremo”. Storie, si badi bene, rielaborate dall'enorme bagaglio professionale dell'autore, che per almeno due decenni ha coperto l'Asia-Pacifico per numerose testate, dalla Rai all'Espresso passando per Panorama e Corriere della Sera.

Storie dell'Asia, storie dall'Asia

Il libro di Lupis raccoglie decine e decine di reportage scritti a cavallo tra il 2000 e il 2001 quando, per conto di molteplici giornali e settimanali, l'autore ha intrapreso un viaggio itinerante attraverso l'Oriente. Un periplo che, tra le altre mete, lo ha portato ad attraversare Paesi come l'India, il Giappone, il Laos, le remote isole Kurili e persino l'Antartide. Il risultato è un racconto organico, scritto con una prosa agile e comprensibile, che propone ai lettori un Oriente “indefinito”, reso fantastico non solo dalle vicende narrate ma anche dall'ambiguità dei suoi confini.

Già, perché nel volume non si parla soltanto di quei due o tre Paesi che costituiscono l'Asia nell'immaginario dell'opinione pubblica. Lupis racconta delle peripezie affrontate per raggiungere l'Antartide, delle isole Hawai e pure dell'Australia. Un Paese, quest'ultimo, grande 20 volte l'Italia, che imita l'Europa, ha radici occidentali, ma che si ritrova incastonato nell'Indo-Pacifico.

Le storie di Lupis, che sembrano uscite da un racconto di Kipling, Conrad o Salgari, sono frammenti di un passato asiatico da studiare, o almeno da ripercorrere, per capire il presente di un continente diventato, nel giro di pochi decenni, l'“ombelico del mondo”.

Un “romanzo reportage”

Il viaggio affrontato da Lupis è stato condotto senza particolare fretta, tra l'invio di un articolo e l'altro ai giornali per i quali lavorava all'epoca. Di tanto in tanto, però il giornalista si imbatteva in alcune brevi storie fantastiche, al limite del credibile, che erano reali, certo, ma assolutamente fuori dall'ordinario.

Gli esempi sono numerosi. Si va dalla tomba di Gesù alle nuove Geishe, dai lottatori di Sumo alla prostituzione minorile, dai mezzi di trasporto alle spie, dai canguri all’ultimo eunuco dell’imperatore. Questi sono i frammenti di un Oriente fantastico. Sono esperienze raccolte in presa diretta, ma in un'altra epoca, che esplorano un mondo che ormai, a tanti anni di distanza, è irrimediabilmente scomparso ma che ci viene riproposto con fedeltà ed incanto.

Vale la pena concludere la recensione con un appunto generale sul testo: sotto quale categoria farlo rientrare? Definire il libro di Lupis una normale raccolta di reportage può apparire riduttivo, visto che si ha la sensazione che l'autore non voglia

semplicemente informare il pubblico di uno o più vicende, ma far rivivere ai lettori esperienze di un passato lontano. Proprio come accadrebbe leggendo un romanzo. Un romanzo formato però da racconti reali.

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