"Gli spettri di Dike" mette a processo l'anima umana e la giustizia italiana

Bruno Larosa narra la vecchiaia di un pubblico ministero funestata dai "fantasmi" dei suoi errori di uomo di legge

"Gli spettri di Dike" mette a processo l'anima umana e la giustizia italiana
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C'è un pubblico ministero napoletano in pensione, Francesco de Falco, che fatica a venire a patti con il passare del tempo e degli anni. Pesa sull'ex magistrato l'essere stato presto dimenticato nonostante la carriera brillante. La fama avrebbe dovuto essere un frutto che matura pian piano. E invece... Invece restano solo gli affanni, la paura di dover camminare col bastone, la solitudine ed alcune inquietanti presenze. Mentre la vista si fa debole e la mente più fragile, all'ex pm compaiono degli strani fantasmi che almeno agli inizi lui vorrebbe identificare col leggendario muniacello della tradizione napoletana. Ma in realtà si tratta di entità ben più inquietanti.

Inizia così il romanzo Gli spettri di Dike (La Bussola, pagg. 188, euro 14) scritto da Bruno Larosa, penalista nativo di Locri e partenopeo di adozione.

E quando lo spettro mutevole e spaventevole assume un aspetto più definito, quello che si manifesta è lo spirito di un giudice, Giandomenico Guida, che de Falco aveva indagato per corruzione in atti giudiziari.

Ne nasce un dibattimento tra i vivi e i morti che inchioda il lettore alla pagina su due diversi piani. Il primo è un piano puramente romanzesco perché questo dibattito, nella zona grigia sempre più sottile che separa il vivo dal morto, questo scontro che si fa foro interiore dove nessuna menzogna ha più spazio, rimanda ai classici della letteratura nera, a partire da Edgar Allan Poe. Realtà, allucinazione, paranormale si fondono creando un mondo altro dove lentamente de Falco precipita.

Esiste poi un piano schiettamente giuridico. Il dibattito dei due uomini di legge diventa anche un dibattito sulla terzietà che il giudice dovrebbe avere e che il pubblico ministero voleva all'epoca mettere sotto attacco: «La vostra intenzione - riprese l'ombra - era normalizzare i giudici. Non c'era nessuna verità da scoprire. Pretendevate che ci adeguassimo alle vostre richieste...».

Alla fine de Falco dovrà rendere conto a se stesso di tutto ciò che ha fatto.

Perché i veri fantasmi vivono sempre nella nostra anima, e non dimenticano l'ingiustizia patita. I giudici più severi sono quelli che chiedono all'imputato se vuole essere assolto o condannato. E se lo chiedono guardandosi allo specchio.

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