A lezione dal professor Mel Brooks

Ariela Piattelli

Un genio. Una leggenda in carne ed ossa. Mel Brooks. Ieri pomeriggio, quando è entrato alla Casa del Cinema per tenere una lezione dopo la proiezione in anteprima di The Producers, è stato accolto da uno standing ovation di qualche minuto. Ma lui non fa lezioni. Lui racconta il suo mondo, la sua storia, come fosse un grande musical. Il racconto parte proprio dalla fine, da The Producers, tratto dall’omonimo film, la sua prima regia del ’68 (nella versione italiana Per favore non toccate le vecchiette); con quella pellicola Brooks «soffiò» l’Oscar a 2001 Odissea nello spazio, mentre tutti si aspettavano che la statuetta andasse nelle mani di Kubrick: «Devo dire che è stato un errore premiare il mio film - ironizza Mel Brooks - poi ho accettato il premio perché mi piaceva l’idea di avere una statuetta in casa». L’originale satira di Brooks in The Producers colpì una Hollywood impreparata: «A quei tempi Hollywood non era pronta a vedere Hitler su un palco - racconta Brooks -. O forse semplicemente non era pronta a Mel Brooks».
Forse pochi, all’inizio della sua carriera di regista, si aspettavano che questo ometto avrebbe poi cambiato le sorti dello spettacolo d’oltreoceano, perché in realtà faceva dei film per certi versi incompresi, ma che poi si rivelarono delle vere e proprie intuizioni. Hollywood non comprese la scelta di Mel di girare il leggendario Frankenstein junior in bianco e nero perché per la grande industria del cinema rappresentava un passo indietro e poco rispettoso della modernità. «Lo feci così perché amo la storia del cinema - spiega Brooks - amo il bianco e nero e anche i film muti. Adoro Charlie Chaplin e Samuel Beckett, loro hanno rappresentato un’epoca indimenticabile del cinema comico». Ed il regista sta già lavorando al musical di Frankenstein junior, di cui assicura non ci sarà mai un remake cinematografico perché «è già un film perfetto».
Proprio parlando del musical e delle canzoni che ha scritto per The Producers non si trattiene e dà il via ad un piccolo spettacolo, cantando canzoni e coinvolgendo il pubblico. Ricorda un altro suo film, La pazza storia del mondo, pietra miliare della comicità: «Noi crediamo sempre alla storia che ci raccontano i libri - spiega Brooks - e chi ci dice che le cose sono andate veramente così? Allora ho pensato di riprendere la storia e correggerla un po’!» Gli si chiede di ricordare un film particolarmente caro e lui senza tentennare un attimo parla di Che vita da cani, una pellicola amara che viene spesso paragonata ai film Chaplin: «Il vostro Vittorio De Sica avrebbe potuto girare quel film - immagina Mel - Di De Sica amo Miracolo a Milano, di Monicelli I soliti ignoti. Il cinema italiano degli anni ’50 mi ha tenuto in vita». E chiude il discorso sul cinema italiano con una battuta: «Tra un paio di anni potrei fare il protagonista in un remake di Umberto D». Poi dalla platea qualcuno chiede a Mel di paragonarsi a Woody Allen, altro maestro della satira ebraica: «Io sono più alto di Woody Allen - scherza Brooks - a parte questo posso dire che mi piace, è un genio, un intellettuale. Lui potrebbe essere lo psicologo ed io il filosofo. Lui per guardare la realtà usa il microscopio ed io il telescopio».

Un ragazzo chiede a Brooks perché ha scelto di fare il regista e lui risponde serio «ho deciso di dirigere i miei film per proteggere le mie sceneggiature da altri registi».
Dopo aver raccontato il suo mondo e quello dei suoi film, un altro standing ovation lo saluta, mentre corre al Brancaccio ad assistere all’adattamento teatrale di The Producers proposto dalla coppia Guidi-Iachetti.

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