Nemmeno il tempo di inaugurarlo e siamo già all’emergenza hotspot di Taranto. Il centro di accoglienza e di identificazione dei profughi allestito al porto del capoluogo pugliese si trova già in affanno e i conti non tornano.
Ieri, sono arrivati 320 immigrati scortati da un ingente numero - 45 unità – di poliziotti del reparto mobile. Si trattava di persone sbarcate nei porti siciliani, trasportate poi a Messina, traghettate a Villa San Giovanni (in provincia di Reggio Calabria) e infine giunte in Puglia a bordo di autobus. A Taranto, da una settimana, sostavano già altri 350 profughi accolti nell’hotspot di recente apertura. Nella struttura si sono così trovati insieme circa 700 migranti, il doppio del numero consentito. I centri di prima accoglienza, infatti, dovrebbero ospitare non più di 300 profughi per volta. La sosta dovrebbe essere di massimo 72 ore. Ma, come detto, i conti non tornano e le previsioni alimentano non pochi timori sulla gestione complessiva del fenomeno se si pensa che, tra aprile e maggio, è prevista una massiccia ondata di migranti verso le coste italiane. Il Paese è preparato a nuovi, massicci, sbarchi? E le nuove strutture reggeranno? L’organizzazione dell’hotspot contempla l’emergenza nell’emergenza? Se la capienza è maggiore rispetto al previsto, viene da domandarsi come sia, in termini qualitativi, la prima accoglienza.
Il porto di Taranto, in particolare, è un posto assolato e le tende potrebbero non contenere tutti in modo dignitoso. Inoltre, l’hotspot pugliese sorgerebbe proprio sotto i nastri che trasportano i minerali dallo scalo marittimo allo stabilimento siderurgico dell’Ilva.
Pertanto, gli addetti ai lavori e gli immigrati respirerebbero un’aria non proprio salubre, densa di polveri inquinanti (ferro, carbone) già tristemente note perché tra i principali fattori inquinanti di origine industriale che gravano sulla città e sulla salute pubblica.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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