Vienna, 1957. Il cielo è plumbeo. La notte gelida e oscura. Una giovane donna slanciata, ossuta, elegante, affascinante, ritrova per puro caso un uomo che mai più avrebbe dovuto e voluto vedere. L'uomo è stato il suo carnefice. Lucia, ebrea sopravvissuta al campo di concentramento, ritrova davanti a sé il torturatore Maximilian. L'uomo fugge dal passato, nascondendosi dietro una falsa identità. È restato quello che era un tempo: convinto nazionalsocialista. Da Lucia ci si aspetterebbe un gesto di vendetta. Invece, inaspettatamente, intreccia con lui una relazione sadomasochista. L'hotel di Vienna è una metafora del dopoguerra: il passato sembra non voler passare mai. E le vittime di un tempo non riescono a liberarsi in maniera definitiva dei propri carnefici.
Abbiamo raccontato l'inizio de Il portiere di notte, girato da Liliana Cavani nel 1974. È uno dei film più importanti del cinema mondiale della seconda metà del Novecento. Maximilian è interpretato da Dirk Bogarde. Lucia da Charlotte Rampling. Quest'ultima è davvero sublime. Un suo fotogramma rappresenta ancora oggi un'icona perturbante. Ma chi è la regista - in occasione del novantesimo compleanno - che giustamente la Mostra di Venezia intende celebrare con l'assegnazione del Leone d'oro alla carriera? Liliana Cavani è nata a Carpi nel 1933. Si laurea a Bologna in lettere classiche. Quindi è un'umanista. Si sposta a Roma, per diplomarsi al Centro sperimentale di cinematografia. Vince il concorso in Rai. Diventa una documentarista. A lei si devono molti lavori eccellenti, fra i quali spicca la ricostruzione della storia del Terzo Reich. Nel 1966 debutta nella cinematografia con Francesco d'Assisi. Il «poverello» ha il volto di Lou Castel. È un sessantottino arrabbiato, che non cerca il mistero divino ma si misura con lo scandalo del proprio tempo. Che la giovane regista abbia talento si vede da subito. Seguono alcune pellicole molto legate all'epoca, nello stile come nel contenuto: Galileo (1968), I cannibali (1970), L'ospite (1972), Milarepa (1974). Poi esplode la bomba de Il portiere di notte. Il film suscita dibattiti, interpretazioni di ogni orientamento, polemiche. In molti storcono il naso. Il «guru» della nuova filosofia francese, Michel Foucault, si dichiara preoccupato. Sta prendendo piede una moda «rétro» che rischia di banalizzare l'essenza crudele e demoniaca del passato nazionalsocialista e, soprattutto, dell'Olocausto. La critica americana più progressista è scandalizzata dalle sgradevolezze messe in scena. Addirittura, lo mettono nero su bianco, prenderebbe avvio un genere nuovo: «nazi chic». In Italia la critica è divisa. Favorevoli e contrari. Rivisto oggi, rispetto ai film dell'epoca, anche i più scandalosi, resta un'opera di riferimento. Per la cura della ricostruzione. Per la recitazione dei due principali protagonisti. Per la narrazione ben concatenata. Per la capacità di far dimenticare la natura claustrofobica entro cui si svolgono gli avvenimenti. Per il coraggio di addentrarsi in un pericoloso ginepraio come la rappresentazione dell'Olocausto.
A Il portiere di notte seguono due film controcorrente. Il primo ha per protagonista il filosofo Friedrich Nietzsche e il suo controverso rapporto sentimentale-erotico-psicologico con Lou von Salomé: Al di là del bene e del male (1978). Il secondo è il tentativo, sin troppo arduo, di ridurre l'opera narrativa maggiore di Curzio Malaparte: La pelle (1981). La carriera cinematografica di Liliana Cavani prosegue con Oltre la porta (1982) e Interno berlinese (1985). Poi arriva un'altra opera impegnativa quanto ben riuscita: Francesco (1989). È sorprendente come a trent'anni di distanza l'interpretazione di Francesco sia mutata. Se Lou Castel non alzava mai gli occhi al cielo, Mickey Rourke fa l'esatto contrario. Il tempo è passato. La ribellione giovanile rappresenta un pallido ricordo. Il sacro che sembrava essersi eclissato, sepolto dalla storia, torna prepotentemente al centro dell'esistenza umana. Le ultime tre opere cinematografiche di Liliana Cavani sono Dove siete? Io sono qui (1993), Il gioco di Ripley (2002) e L'ordine del tempo (2023), la cui uscita è prevista nei prossimi giorni.
Il tempo - quasi un secolo vissuto - non sembra aver troppo scalfito la regista carpigiana. La sua sorprendente vitalità e bellezza sono sbalorditive. Di fatto il suo nome e la sua opera si collocano di diritto nel piedistallo più alto della cinematografia italiana e internazionale. Mai riconoscimento, come quello veneziano, appare più adatto. Premia la cultura, l'arte, il talento, l'audacia di una ragazza mai invecchiata. Una ragazza con le antenne perennemente orientate verso il nuovo. Curiosa, determinata, ostinata nel percorrere la propria strada, spesso accidentata. Lontana dalle ovvietà e faziosità ideologiche che hanno sgonfiato la cinematografia nazionale. Liliana, insieme all'indimenticabile Lina Wertmüller, negli anni Settanta, hanno contribuito con il loro lavoro a puntellare la creatività filmica italiana, con coraggiosi film d'autore e commedie popolari. Hanno battuto strade nuove. Il loro sguardo femminile si è fissato sull'incandescenza della tragedia, con linguaggi diversi. Lina Wertmüller in Pasqualino Settebellezze (1975) - anticipando il Roberto Benigni di La vita è bella (1997) - è stata capace di addentrarsi nel dolore del campo di concentramento attraverso l'ironia. Mai stucchevole. Mai volgare. Liliana Cavani la mostruosità l'ha affrontata da tutt'altra angolazione. Non ha avuto timore di scendere nei gironi infernali più odiosi. Il suo teatro della crudeltà, in fondo, è il grande teatro del mondo inseguito nella pagina da Malaparte e nella filosofia da Nietzsche.
Liliana però non
si è lasciata sedurre dalle sirene sadiane e nichiliste come accadrà al Pasolini di Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975). Il suo capolavoro Il portiere di notte è l'«opera mondo» di una umanista. Una umanista cristiana.
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