«Per lui aveva perso la testa contro il volere dei genitori»

La giovane lavorava in una comunità di recupero: «Aveva fiducia negli altri. E viveva per il suo bambino»

Anna Savini

da Erba (Como)

Mamma Paola e papà Carlo avevano provato in ogni modo a salvare la loro Raffaella. La loro figlia bella, colta e intelligente, che si era innamorata di quello straniero sempre con la droga in tasca. Poi è arrivato il bambino: Raffaella è rimasta incinta, e loro si sono arresi. Mamma Paola, ieri sera, è morta sgozzata insieme a Raffaella. I vicini temevano che ci fosse anche il padre fra quei quattro morti trovati sparsi per la casa di via Diaz. Lo avevano visto arrivare con la sua auto e scendere di corsa, «il Carluccio». Forse stava cercando di salvare la figlia e la moglie. E forse - cominciano a immaginare i vicini - quando le ha viste morte ha capito subito chi poteva essere stato ed è andato a cercarlo per conto suo. Solo supposizioni. L’unico sopravvissuto in questa strage è papà Carlo. Avrebbe fatto qualunque cosa per salvare la figlia da quel destino ma la lama che l’ha uccisa ha martoriato anche sua moglie e il nipotino.
Ma per capire la fine, bisogna sempre partire dall’inizio. Dalla voce di una vicina che la storia se la ricorda bene, la storia di quell’amore tra Raffaella e quel ragazzo tunisino che è diventato eterno quando lei è rimasta incinta. Solo a quel punto, e a quel punto soltanto, i genitori di Raffaella Castagna, 27 anni, una bella ragazza, alta, bionda, formosa, figlia di ottima famiglia, hanno dovuto digerire quell’uomo venuto al mondo per rovinare la vita alla figlia. La fine di questo amore tra una ragazza che aveva tutto e un ragazzo che aveva solo lei (oltre a un presente dove la droga compariva troppe volte) è arrivata ieri, tra i lampeggianti dei vigili del fuoco, il selciato di via Diaz bagnato per l’acqua usata per spegnere l’incendio, l’albero di Natale illuminato e i vicini di casa in strada in tuta e ciabatte. Sono tutti affacciati alle finestre della palazzina dove Raffaella abitava con Yuossef, il bambino di due anni nato dal matrimonio con quel «tunisino, algerino, marocchino» come non sanno descriverlo bene i vicini. Cercano di capire cos’è successo. Una vicina con il giaccone e la tuta rosa sotto, la storia di quella ragazza dice di conoscerla bene. «Non so se l’aveva conosciuto nella comunità dove lavorava - dice -, ma si era innamorata. Sa, quando una ragazza si innamora non si riesce più a farle cambiare idea. E lei per quell’uomo aveva perso la testa». Lei che la testa ce l’aveva salda sulle spalle. «Laureata in pedagogia - racconta una vicina che abita di fronte -, viveva per il bambino e aveva il suo lavoro. Lavorava in una comunità di recupero per tossicodipendenti». Raffaella credeva negli altri, nelle loro capacità di recupero, pensava di poter tirare fuori il meglio di loro accompagnandoli fuori dal tunnel dalla droga. E di sicuro il marito era legato a quel mondo.


Raffaella abitava in via Diaz dal 2000, così almeno ricordano le uniche persone che parlano di lei. La trovavano spesso, in cortile, al parco con il bambino. Una ragazza è in lacrime: «Non la so la sua storia. So solo che la vedevo sempre, la incontravo, con il bambino».

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