Certe perle, quando non restano sui fondali, cadono nel sottobosco. O nei sottintesi dun romanzo. Gregor von Rezzori (1914-1998) lasciava cadere questa tra due parentesi: «(La castagna, sì, il frutto dellalbero che prosperava così rigoglioso nella nostra provincia e che per me è rimasto da allora il più caro di tutti: forse perché i suoi ricci racchiudono quella che alla nostra fantasia infantile è sempre apparsa limmagine più compiuta e più compatta dellautunno e quasi la sua perla; forse perché la loro caduta tambureggiante annuncia ogni anno un commiato da qualcosa che è più importante della stessa estate; e forse anche perché in questa prodiga pioggia di frutti, in questa effusione di forme perfette abbandonate allarbitrio di un mondo gelido e vuoto si nasconde qualcosa di terribilmente umano - non so dire, non posso; né è detto che si possa sempre esprimere a parole la ragione per cui si ama»).
Il romanzo - fitto di smaglianti sottintesi, malcelati in una selva di personaggi storie e storielle, «effusione di forme perfette» - è Un ermellino a Cernopol: estratto finalmente dallabisso delloblio sprovveduto, scovato nel sottobosco delleditoria perduta dovera sprofondato da un quindicennio (scritto nel 58, tradotto per Mondadori nel 62, fu ristampato da Studio Tesi nell89), riscoperto ora come un tesoro nascosto e riportato alla luce da Guanda nella preziosa traduzione di Gilberto Forti (pagg. 422, euro 22).
Il narratore - è lo stesso autore? Chi lo sa. Lui sapeva che «tutti quelli che avevano qualcosa da dire non hanno mai parlato daltro, in realtà, che di se stessi» - vi racconta la storia di un amore. Uno di quegli inesplicabili amori dellinfanzia che, nutriti di fantasticherie e di promesse, di adorazione indiscussa e di castagne, restano «quanto di più puro lanimo umano possa produrre». È lamore per un eroe, naturalmente. Un cavaliere daltri tempi e dun altro mondo che, provenendo dal passato o da una fiaba, un giorno passò in sella da Cernopol e stregò al primo sguardo una squadra di bambini incantati. «Un giorno vedemmo un ussaro a cavallo, lo riconoscemmo e ce ne innamorammo», scrive il narratore declinando il suo racconto al «noi» che coinvolge nellavventura infantile tutti i suoi fratellini.
Veniva dal passato delle fiabe, il maggiore Tildy. E ne riportava il contegno, gli indumenti e gli ornamenti rapiti a un regno fatato. Signorile indolenza. Eleganza sprezzante. Compostezza impassibile. E quelluniforme fiorita di alamari come «spighe di grano», quel destriero avvolto nel manto, la coda, la criniera come «in una cornice di pathos» che davano alla sua entrata in scena laureola di «una teatrale civetteria». Povero Tildy. Passava dritto così, attraversando Cernopol come un ermellino (del quale basti dire che - leggenda vuole - se si sporca limmacolato mantello ci rimette, con la pelliccia, anche la pelle), dentro il più sorprendente capolavoro di «Memoria e disincanto»: per citare la formula magica con cui Andrea Landolfi, lultimo dei suoi traduttori, coglie al volo la cifra di tutta lopera di von Rezzori. Dentro il più voluttuoso, insolente, sorridente romanzo dei sogni sfatati e dei desideri inesauditi. Evocati senza traccia di rimpianto da uno scrittore estraneo al cattivo gusto dei patetismi, i sentimentalismi, le amare nostalgie quanto - ricorda la vedova, Beatrice Monti della Corte - alla cattiva educazione dei malumori. Un ermellino a Cernopol è un incanto ma non è una favola. E il suo campione equestre è tra i personaggi più ridicoli che mai abbiano attraversato - anchesì in groppa a un patetico destriero - la grande letteratura del Novecento. È vero che è un ex ufficiale dellesercito austriaco: ma, suddito della monarchia giuseppina, soggiacque «al più sclerotico ordinamento burocratico di tutta la storia universale». È vero che indossa ununiforme uguale a quella che von Rezzori indossò prestando servizio nella cavalleria rumena: ma presto Gregor, spogliatosi, con le armi, di ogni cittadinanza, si lanciò apolide nelle corse dei cavalli con lo smalto del gentleman rider. È vero che incarna lideale virile di «un mondo tramontato appena ieri - Ma in maniera tanto più irrevocabile». Ed è, nelle steppe orientali di Cernopol, nella Teskovina dei mercenari e dei lanzichenecchi, dei levantini e dei veri burloni, «lunico giusto tra centomila reprobi», «il più irreprensibile - e il più urtante - degli uomini»: il soldato armato donor cavalleresco che riscuote, per difenderlo, il più donchiosciottesco buonumore.
«Lei sarà tentato di definire cinico questo atteggiamento, e io mi guarderò bene dal contraddirla», scrive lautore che, intonata la sua narrazione al «noi» puerile, la esegue, gentile, volta al «Lei». Né il gentile ascoltatore va in effetti contraddetto, se per cinismo si intende «la parola che indica la differenza tra gli intelligenti e gli stupidi», insegnava Madame Aritonovic agli allievi dellInstitut déducation. Educandoli in ossequio a un unico principio: «Ai bambini non si deve risparmiare nulla». Nel rispetto di una sola legge: «qualsiasi lezione poteva essere interrotta appena qualcuno proponeva qualcosa di più divertente». A dispetto di qualsiasi severità, ad eccezione di quella che lei, sofisticata, esigentissima grande dame, riservava ai falsi intellettuali e ai poeti da strapazzo: «Non avrei mai permesso a quel signore di entrare nel mio letto. Figuriamoci nel mio salotto».
Ma andrà smentito il lettore di «Grisha» von Rezzori che scambierà il suo umorismo e la sua arguzia - appresi da bambino alla scuola di madame - per «quella filosofia cinica che è il peggior frutto di un atteggiamento apatico e sogghignante di fronte alla vita». Alla vita, la propria vita, Gregor von Rezzori rivolgeva non un ghigno disamorato ma un sorriso radioso.
Lo sguardo luminoso e tanto più perspicace di chi le ha viste tutte e continua a divertircisi un sacco.
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