Maier: «Olimpiade bellissima. Ma solo in tv»

Troppi disagi per raggiungere gli impianti e le piste

Maria Rosa Quario

da Sestriere

«Da casa, seduto comodo davanti alla televisione, quest’Olimpiade mi sembrava fantastica, qui però è tutta un’altra cosa, in pista le cose funzionano, fuori un po’ meno. Dopo la discesa sono scappato per scendere di quota ma anche per non respirare la polvere, sto soffrendo di asma». Hermann Maier non usa giri di parole: visti da dentro e visti da fuori, sono Giochi a due facce.
In effetti, chi segue le gare davanti alla televisione riceve un’immagine straordinaria di quest’Olimpiade e del suo contorno, da ieri anche un po’ più bianco. I registi stanno dimostrandosi abilissimi nel non riprendere le cose sgradevoli che si possono «ammirare» a bordo pista, dal fango alla polvere, dai cantieri aperti agli ammassi di detriti abbandonati. Anche quando le tribune sono mezze vuote, si stringe sui gruppetti più colorati e rumorosi, e l’effetto è straordinario. Ma sul posto, spesso, la sensazione è deprimente. Le ultime spinte di Gabriella Paruzzi verso il traguardo della dieci chilometri a tecnica classica, giovedì, sono state da brivido: lo speaker la incoraggiava a gran voce, ma il silenzio che accompagnava la sua fatica nel rettilineo finale era agghiacciante. I gruppetti di norvegesi, estoni, svedesi e russi quasi si vergognavano a urlare i loro incitamenti e a sventolare le bandiere in quell’atmosfera gelida.
«È davvero brutto entrare in uno stadio silenzioso, domenica scorsa c’era gente e per le staffette di questo fine settimana dicono che i biglietti siano esauriti, evidentemente gli italiani pensano troppo a lavorare, nei giorni feriali non hanno tempo» butta lì Gabriella, che non è sola a lamentarsi della tristezza di gareggiare in mezzo al deserto. La norvegese Marit Bjoergen, dopo l’argento nella 10 km, non trovava quasi le parole per descrivere la sua delusione: «Non sembra nemmeno di essere all’Olimpiade. Da ragazzina avevo seguito le gare di fondo ai Giochi di Lillehammer e avevo sognato un giorno di vincere anch’io una medaglia olimpica in un’atmosfera tanto esaltante. Ora il sogno della medaglia si è realizzato, ma il calore del pubblico io non l’ho sentito».
La stessa sensazione provata da Giorgio Rocca martedì sera, al momento di affacciarsi al cancelletto per la seconda manche dello slalom della combinata: «Mi sono concentrato sulla gara, ma non ho potuto fare a meno di pensare che non sembrava proprio di essere a un’Olimpiade, tutto era silenzioso e lungo la pista e in tribuna la gente era davvero pochina».
Per l’Italia dello sci, da sempre presa ad esempio per l’organizzazione tecnica delle gare, il problema del pubblico sembra irrisolvibile. Nel 1997, Mondiali del Sestriere con Tomba e Compagnoni in pista, l’afflusso fu deludente e l’atmosfera deprimente. Non parliamo poi dei Mondiali di Bormio di un anno fa, dove il pubblico pareva quello di una qualsiasi garetta sociale e gli organizzatori decisero di regalare i biglietti. È proprio quello che Marco Albarello, dt del fondo azzurro, propone di fare anche qui: «La mancanza di pubblico lungo la pista toglie al fondo gran parte del fascino, ma anche per il dopo gara non c’è nulla che possa soddisfare chi è arrivato fin qua. Possibile che nessuno abbia previsto un bar, un tendone, un luogo di ritrovo per i tifosi? Per gli scandinavi la bellezza dello sci di fondo è poter fare festa assieme dopo la gara, bere, mangiare, cantare. Qui per trovare un ristoro devono camminare un’ora nel fango e nella polvere. Forse il timore di ingorghi sulle strade ha scoraggiato la gente, d’altra parte è anche vero che domenica i tifosi della Smigun, arrivati con i biglietti dall’Estonia, sono riusciti a raggiungere lo stadio quando lei era già sul podio con la medaglia d’oro al collo».


Ma se nei siti di montagna il pubblico non è da grandi occasioni, a Torino gli stadi sono strapieni, gli italiani stanno scoprendo il fascino del pattinaggio, dell’hockey e persino del curling, fino a ieri sfottuto per le sue scopette.

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