Un biopic da maledetti, quale Eduard Limonov è sempre stato. L'invasione della «sua» Ucraina lui non l'ha vista. È morto dopo una vita a dir poco avventurosa, a pochi giorni dall'avvento della pandemia nel marzo 2020. Limonov: The Ballad, il film di Kirill Serebrennikov, regista russo dissidente e antiputiniano, riflette quella vita «eroica» suddivisa per capitoli.
Il didascalismo non è il mestiere del cineasta che coinvolge nell'opera anche Emmanuel Carrère, autore di uno storico volume da cui le riprese prendono ispirazione. E Cannes ha risposto con entusiasmo a un film che, dietro la patina filorussa di un faccendiere ucraino maledetto, lancia pesanti accuse alla guerra fratricida che sta dilaniando l'Europa e il mondo slavo in primo luogo.
Ben Whishaw (foto) è un protagonista convincente che dà corpo e anima a un uomo disperatamente controcorrente perfino con se stesso, ai limiti della contraddizione interna. Il sentimento senza confini e la provvisorietà quotidiana. I giorni dissacranti con l'amore della sua vita. Lenocka, la donna che si perde tra le pieghe delle settimane lasciando ai giorni il ruolo desolante di gesti assoluti ma disattesi.
E Limonov passa dall'essere maggiordomo di un miliardario a emblema della Russia che ha sconfitto i nazisti. Serebrennikov ha ringraziato. «È stato un viaggio lungo.
Spero che ognuno di noi possa aiutare le persone a fermare la violenza che travolge il mondo oggi». Risultato. Nove minuti di applausi dopo la dedica più spiazzante della storia della settima arte. «Purtroppo il cinema non può fermare la guerra».
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