Malmoe come Atene: tre notti di scontri, violenze e incendi

Era iniziato con un semplice e tranquillo sfratto di una moschea, ma da tre giorni sembra una nuova rivolta alla «greca». Venerdì notte gli immigranti e gli squatter del quartiere di Rosengaard alla periferia di Malmoe sono tornati sul piede di guerra e per il terzo giorno di seguito sono ripresi gli scontri con le forze dell’ordine, i lanci di molotov, gli incendi di cassonetti e autovetture e i caroselli di giovani mascherati inseguiti da agenti e cani poliziotto. Al termine di quella terza notte di violenze cinque giovani militanti sono stati fermati e messi sotto inchiesta per l’inizio d’incendio causato dalle molotov lanciate all’interno di una scuola. La rabbia del quartiere, abitato in gran parte da immigrati islamici e mediorientali, sembra però più lo sfogo di gruppi di teppisti che un’autentica protesta.
Per ritrovarne il prologo bisogna risalire allo scorso novembre quando i proprietari di un edificio in cui operano una moschea e un centro islamico comunicano lo sfratto agli affittuari e si fanno consegnare le chiavi dello stabile. I responsabili del centro islamico non fanno troppe storie e accettano di buon grado di trovarsi un’altra sede. Per i militanti dei centri sociali attivi nel quartiere la chiusura del luogo di culto e del centro islamico diventa l’ennesima provocazione nei confronti di una periferia degradata. Il 24 novembre un gruppo d’attivisti entra nello stabile e occupa i locali della moschea.
L’escalation diventa inevitabile quando la polizia sgombera l’edificio e i giovani tentano di riprenderne possesso. Mercoledì e giovedì rabbia e violenza invadono le strade di Rosengard e sembrano alimentare una replica in chiave scandinava dei disordini di Atene. Per 48 ore le forze dell’ordine e i manipoli dei centri sociali si affrontano tra le fiamme dei cassonetti e i fumi dei lacrimogeni. Per evitare il temuto epilogo in stile ellenico venerdì le forze dell’ordine tentano la carta del dialogo. La nuova politica non basta a soddisfare gli agitatori dei centri sociali. «Quelli ora vorrebbero conquistarci scherzando e sorridendo, ma di solito ci perseguitano e ci arrestano senza motivo. Come fanno a sorprendersi se una volta tanto reagiamo?», sostiene Ahmed Baccar, un giovane militante dei centri sociali di origine palestinese. «Non possono pretendere di attaccarci con i cani e poi chiederci di discutere e risolvere tutto», aggiunge l’amico Rached El Alì, originario pure lui dei territori palestinesi. Così al tramonto di venerdì la protesta riesplode puntuale e violenta.


Il problema stavolta è però capire dove stia il malessere e il disagio giovanile. In Grecia arrivava dalle scuole, dalle università e da un’estrema sinistra di matrice casalinga. A Malmoe sembra importato direttamente dalle periferie palestinesi e mediorientali.

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