Una volta certi film vietati ai minori di 18 anni lo erano «severamente». O anche «rigorosamente». A imporre l’avverbio superfluo non era il censore, ma il censurato, per attrarre più spettatori di quelli che il divieto gli toglieva.
Mutatis mutandis, di questa logica si giova Caos calmo di Antonello Grimaldi (2007). Isabella Ferrari garantisce che c’è stato sesso vero - «ma sterile», chiosa malizioso un vescovo - con Nanni Moretti. E per un mese l’Italia cinematografico-giornalistica non pensa ad altro.
Nel 2009 si chiede per la sceneggiatura de La prima linea di Renato De Maria - legato alla Ferrari - il finanziamento pubblico. Il film s’ispira a un libro di Sergio Segio e ne deriva un polverone utile solo per il produttore: se anche il finanziamento pubblico non fosse più venuto, al film sarebbe restata la pubblicità gratis.
Se quasi ovunque in Europa e negli Stati Uniti si censura meno di una volta (ormai paiono folli anche ai parroci il divieto ai minori di 16 anni per La dolce vita di Fellini, nel 1960; e il rogo per Ultimo tango a Parigi di Bertolucci, nel 1972), è perché ormai la trasgressione coinvolge pochi, perché rimane solo quella politica.
Nel 1979 Solgenitsin nota che ormai si può dire tutto, ma solo perché non serve a niente. Poi Régis Debray perfeziona l’analisi, centrandola sugli intellettuali, che, da quando non vanno più in prigione, non hanno più idee originali. Neppure in Francia s’è trovato però chi voglia imporsi alla maniera di Brasillach. O di Debray stesso.
Dell’epoca dei divieti arroganti resta nostalgia perché colpivano film molto superiori a quelli recenti. Ecco perché consultare il Dizionario della censura nel cinema di Jean-Luc Douin (Mimesis, pagg. 622, euro 28). Uscito per le Presses Universitaires de France nel 2001, il Dizionario non è aggiornato e la traduzione è indecente. Però evoca una miriade di situazioni dimenticate, memento che, nelle democrazie plebiscitarie come nelle democrazie venali, la lotta per la verità è sforzo di pochi a vantaggio di tutti.
Oggi alcuni dei titoli dei film citati da Douin sono diventati locuzione d’uso comune sui quotidiani, come Il corvo, applicata all’autore di lettere anonime sulla magistratura palermitana scritte quasi mezzo secolo dopo il film di Henri-Georges Clouzot (1943). Che racconta invece di lettere anonime che, nel 1922, avevano turbato la città di Tulle. Nella Francia occupata dai tedeschi e retta da un governo che aveva per motto «Lavoro, patria, famiglia», un film di denuncia così pare un grido di libertà. Ma solo un anno dopo quel grido vale a Clouzot l’epurazione: i soldi per girare il film erano infatti tedeschi.
Nel 1947 Claude Autant-Lara - che ha anche lui lavorato sotto l'occupazione, ma è considerato anarco-comunista - firma Il diavolo in corpo, con Micheline Presle e Gérard Philipe. È un inno all’amore adulterino, per giunta con un minorenne, ai danni di un combattente della I guerra mondiale, proprio come il romanzo di Raymond Radiguet (Garzanti) che l’ispira. Ma nel 1947 c’è un passato ben più bruciante da associare al film… Pierre Braunberger, produttore inviso perché ebreo ad Autant-Lara, organizza una manifestazione contro il film. Reazione comprensibile, seguita da una conclusione che impone il rispetto: Brauberger ama Il diavolo in corpo, lo applaude e annulla la protesta! Il film arriva poi alla Mostra di Venezia e conquista la critica, ma può uscire in Italia solo nel 1959, tagliato di quasi mezz’ora e vietato ai minori di 16 anni, perché l’adulterio è un tabù dei più forti. Intanto Gérard Philipe, che Micheline Presle ha corteggiato, muore, rimanendo sempre fedele ad Anne, la moglie, perché non sempre realtà e finzione coincidono, nemmeno sul set.
Nel 1966 esce Africa addio di Gualtiero Jacopetti (1966), sul quale il Dizionario di Douin scrive una voce tanto breve, quanto erronea. Poiché il documentario mette sullo stesso piano (de)colonizzatori e (de)colonizzati, anziché «risarcire» i secondi, la Francia vieta il film. Nello stesso anno esce, una netta condanna del colonialismo, La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo. Ma Parigi vieta anche questo…
I comunisti sono incoerenti quanto i capitalisti. Il governo polacco finanzia L’uomo di marmo di Andrzej Wajda (1977), poi lo censura e destituisce il ministro che l’ha voluto. Il ministro torna al suo posto e autorizza il seguito, L’uomo di ferro, sempre di Wajda (1981). E il governo lo ri-destituisce. Morale: L’uomo di marmo ha un’eco immensa, che L’uomo di ferro merita meno.
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