Merkel, quanti errori Fa troppo poco. E tardi

La cancelliera stritolata tra un’opinione pubblica diffidente verso i salvataggi e l’esigenza di mantenere l’euro in salute

Merkel, quanti errori  
Fa troppo poco. E tardi

Il «Vecchio», come in Germania chiamano Helmut Kohl, vive da tempo su una carrozzella a rotelle, talvolta parla a fatica. Ma a chiunque lo vada a trovare confida il suo cruccio: «La politica europea di Angela Merkel è pericolosissima». Anzi, di più: «Sta distruggendo l’Europa che ho contribuito a creare». Un altro ex cancelliere popolarissimo nel Paese, Helmut Schmidt (padre del serpente monetario, antesignano dell’euro), a 90 e passa anni, la maltratta periodicamente con i suoi editoriali sul settimanale Die Zeit. La sostanza: per la moneta unica la cancelliera fa troppo poco e sempre troppo tardi. Nello stesso governo le bordate contro Frau Angela si sprecano. Horst Seehofer, numero uno della Csu, la democrazia cristiana bavarese, ha parlato domenica criticando le sue ultime decisioni: «Non vogliamo che il debito di qualche Paese diventi di tutti. Nessun acquisto di bond da parte della Bce». Sulla stessa lunghezza d’onda, tra rigorismo ed euroscetticismo, anche gli altri alleati, i liberali.

A più di un anno dallo scoppio della crisi del debito greco Angela Merkel non ha ancora trovato una via d’uscita dalla trappola in cui si trova: da una parte un’opinione pubblica in maggioranza diffidente verso i Paesi mediterranei e gli euro-peccatori; dall’altra l’esigenza di salvare l’euro, la cui fine sarebbe una catastrofe per banche e sistema produttivo tedesco. Così il copione si ripete sempre uguale di fronte a ogni crisi: prima roboanti dichiarazioni in cui si esclude ogni intervento tedesco, si condannano le cattive abitudini di chi non ha i bilanci in ordine, si ribadisce che l’Europa non è un’unione fiscale. Poi, dopo che mercati e ribassisti si sono scatenati e il prezzo da pagare è salito in maniera esponenziale, Frau Angela si accorge che l’abisso è a un passo e dà il suo via libera al salvataggio di turno. Sempre trascinando i piedi e avvertendo granitica: è l’ultima volta.

È successo con il primo salvagente concesso alla Grecia (allora a sbloccare la situazione fu una telefonata di Obama), poi, nelle settimane scorse, per il potenziamento dell’Efsf (il fondo europeo chiamato all’acquisto dei bond dei Paesi in difficoltà), sta succedendo di nuovo con le polemiche sulla necessità di affidare nuove risorse allo stesso Efsf. Horst Teltschik, ex consigliere di Kohl per la politica internazionale, ha una spiegazione: «Alla Merkel manca nella maniera più assoluta una visione del futuro dell’Europa, proprio nel momento in cui questa sarebbe più necessaria».
Nessun disegno di medio e lungo periodo, dunque, ma una politica di piccolo cabotaggio, chiamata di volta in volta a reagire ai problemi del momento. Siano essi i mercati che stanno per far fallire l’Europa o gli umori negativi dell’opinione pubblica tedesca. Il risultato è paradossale e doppiamente negativo: sul piano internazionale non c’è analista che non condanni le indecisioni tedesche e la mancanza di leadership di Berlino.

Sul fronte interno i sondaggi vanno di male in peggio. Secondo l’ultimo, di pochi giorni fa, la Merkel perderebbe (con un distacco di circa quattro punti percentuali) con ognuno dei due possibili candidati socialdemocratici, il presidente del gruppo parlamentare Frank-Walter Steinmeier e l’ex ministro delle finanze Peer Steinbrück. Quanto ai partiti la coalizione Cdu-Csu-Liberali otterrebbe il 36%, contro il 51% dell’accoppiata Verdi-Socialdemocratici. Una batosta storica. Per la Merkel la risposta più semplice potrebbe essere quella di assecondare i desideri dell’elettorato acccentuando l’atteggiamento di rigorismo monetario e di euroscetticismo.

Ma la cancelliera non può permetterselo: gli economisti stanno facendo i conti di quanto costerebbe alla Germania la fine dell’euro. Non si tratterebbe solo di salvare le banche, le cui casseforti sono piene di bond dei Paesi dell’Europa mediterranea.

Per il sistema produttivo il timore è la sindrome svizzera: così come l’industria elvetica è stata messa in questi giorni ko dal superfranco, così le aziende tedesche (che esportano il 42% della produzione nei Paesi dell’area euro) sarebbero paralizzate dall’inevitabile impennata successiva alla nascita di un euro di Serie A (un marco mascherato) e da un euro di serie B. Per noi sarebbe una catastrofe. Per i tedeschi pure.

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