Mickelson, l’apoteosi di un falso mancino

Enrico Campana

Per spronarlo più che sbeffeggiarlo, i colleghi avevano preso a chiamarlo «Big Tree», come l'enorme quercia secolare sotto la quale i patrons, come vengono definiti in gergo gli spettatori del Masters dell'Augusta National, una delle tante tradizioni che «The Tournament» si porta appresso dal 1934, si riposano in attesa di sciamare per il campo.
La quercia umana del golf, un quintale di ciccia e simpatia, la faccia da comico, la fossetta sul mento, un cuore immenso, l'anti-divo, l'opposto di quella golf-machine di Tiger Woods costretto a fargli da valletto per infilargli domenica la giacchetta verde del vincitore, racconta fra il serio e il faceto di aver preso forza e coraggio proprio da una sorta di colloquio segreto con «Big Tree» quando, due anni fa, arrivò ad Augusta con la fama del collezionista di tornei Pga (22 vittorie) e di delusioni nei Majors. Fino ad allora era rimasto a bocca asciutta nei grandi appuntamenti, bollato con questo commento da un «certo» Jack Nicklaus: «Sicuramente è un giocatore grosso, ma non credo sia un grosso giocatore...».
Adesso la famosa pianta che sorveglia l'Augusta National Golf Club verrà ribattezzata «Big Phil», proprio per ricordare il cruciale - o fatale, se è vero che le querce sono la tana degli elfi capaci di regalare magie alle persone buone, proprio come Mickelson - crocevia nella carriera del campione uscito dalla San Diego University.
Nel tempio della Georgia e del golf, dove Dio ha creato la buca più bella del golf, la 13, e sembra di vivere in un Eden irreale, circondati da azalee di ogni colore come nemmeno forse ce ne sono in Paradiso Mickelson ha battuto con due colpi di vantaggio il sudafricano Tim Clark, ha bissato il successo del Masters, prodezza da campione di prima grandezza. Con tre Majors al suo attivo (oltre ai due Masters c'è anche un Us Pga Championship) si è messo sulle orme del grande Hogan, l'asso che sbocciò passati i 35 anni, l'età del bonario Phil che precisa, quasi a volersi scusare per questo arrivo tardivo sulla grande scena, di non aver mai avuto l'ossessione. Per lui la vanità non esiste, anche se è diventato un asso del golf a furia di guardarsi allo specchio. Come è successo ad altri campioni dello sport, a cominciare dal tennista Beppino Merlo che imparò a giocare a tennis allenandosi allo specchio, all'età di due anni è rimasto incantato dai colpi del padre.

Phil senior era mancino, così Phil junior è diventato, a forza di allenamenti «speculari», il «grande Lefty» anche se fuori dal campo di golf scrive e si rade con la destra.
Questo dimostra il suo eccezionale talento, per cui in un certo senso si potrà dire che ogni suo successo vale almeno... il doppio.
encampana@inwind.it

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