Milano, 4 anni per mettere una H nel nome

Il milanese Walter è stato salvato in mare dall’austriaco Walther. I due diventano amici e sul punto di morte lo straniero chiede all’italiano di modificarsi il nome. La lotta con i burocrati per riuscirci. Il Tar ha accolto il ricorso: "Vicenda di grande rilievo morale"

Milano, 4 anni per mettere una H nel nome

«C’era una volta un’Acca. Era una povera Acca da poco: valeva un’acca, e lo sapeva». Leggessero Gianni Rodari, in certi uffici polverosi del Palazzo, questa storia non ci sarebbe. Eppure c’è. Ed è la storia di Walter. Anzi, di Walther. Che sono due persone e la stessa, che si sono incontrate e perse, e che con un’«h» hanno aperto una porta tra questo mondo e quell’altro. Perché Walter ha un eroe. E il suo eroe è Walther. E quando Walther se n’è andato per sempre, ha chiesto una cosa soltanto al suo amico Walter. «Prendila tu quest’acca». E Walter (quasi Walther, da quel momento), gliel’ha promesso. E da lì in poi, è entrato in un labirinto.
Quattro anni. Quattro anni ci ha messo, Walter. Da quando - era il 2006 - ha chiesto al prefetto di Milano di cambiare il suo nome. In Walther, appunto. Non un capriccio, per carità. Piuttosto, un giuramento. Ecco cosa è successo. È l’estate del 1995. Il signor Walter M. è in vacanza al mare. Mentre fa il bagno, un pomeriggio, si sente male. Beve, annaspa, ancora un poco e va a fondo. Ed è lì che arriva Walther, cittadino austriaco, anche lui in vacanza. Walther si tuffa, e salva la vita a Walter. Diventano amici, i due. E più passa il tempo, e più si consolida il loro legame. Però di tempo ne passa fin troppo, e nel 2002 Walther muore. Poco prima, però, chiede al suo quasi omonimo di aggiungere un’«h» tra la «t» e la «r» del suo nome.
Certo che sì, è la risposta. È il minimo riconoscimento per l’uomo che l’ha salvato, per il coraggio che ha dimostrato, per quell’eroe conosciuto su una spiaggia. Così, nel settembre di quattro anni fa, Walter presenta l’istanza alla prefettura di Milano, che - sulla base di una circolare del Ministero dell’Interno del 2001 - gli viene respinta. «Non è stata ravvisata la sussistenza di una situazione oggettivamente rilevante per l’accoglimento di tali domande», è l’asettica spiegazione in burocratese. Insomma, Walter non ha uno di quei nomi imbarazzanti che riempiono gli elenchi del telefono. Uno di quelli che si pronunciano a mezza voce, per evitare figure. Si tenga il suo, di nome. Ma l’uomo ha la testa dura, e una promessa da mantenere. E si rivolge al Tar della Lombardia. Che ribalta la prospettiva di quella circolare, sostenendo che non solo quel salvataggio avvenuto nell’estate del ’95 è una situazione «oggettivamente rilevante, da cui hanno tratto origine i profondi setimenti di costante riconoscenza», ma anche che la richiesta di Walter è supportata «da motivi di rilievo morale».
Inoltre, scrivono i giudici del tribunale amministrativo nella sentenza depositata ieri, che «il nome di ciascun soggetto dell’ordinamento è destinato ad assolvere la funzione della sua identificazione, e che il diritto al nome costituisce un rilevante diritto assoluto della persona, la cui tutela è garantita sia dal codice civile, che dalla Carta Costituzionale».
Così, i giudici di via Corridoni accolgono il ricorso di Walter.

«Chi leva la h all’huomo non si conosce huomo, e chi la leva all’honore, non è degno di honore», scriveva l’Ariosto. Perciò, da oggi, Walter diventa Walther. Che è una persona, la stessa di prima, ma è come fossero due. Dopo quattro anni, la promessa è stata mantenuta. Come si scrive lealtà? Probabilmente con l’acca.

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