Marta Bravi
Diceva di avere «il cuore targato Milano», da parte sua la nostra città l'ha sempre considerato un figlio. Giovannino Guareschi dalla bassa parmense si trasferì a Milano negli anni Trenta per lavoro, dove rimase fino al '52, escludendo la guerra e il periodo di prigionia nei campi di concentramento della Polonia e della Germania. A Milano lavorò per la rivista satirica Il Bertoldo, fondò e diresse il Candido e collaborò con il Corriere della Sera, la Notte e il settimanale Oggi. «Milano è una città che non si dimentica. Anch'io anni fa, accompagnato da un ombrello e da una maledetta voglia di lavorare, ho lasciato la mia provincia e sono piovuto a Milano - scriveva -. A Milano non c'è niente che ti opprima, con la sua tracotante bellezza, con la sua storia, con i suoi monumenti. Perché il monumento più importante di Milano sono i milanesi. Ecco perché anche se la mia macchina sarà targata Parma, il mio cuore sarà sempre targato Milano».
Con la moglie e i figli Alberto e Carlotta vissero nei pressi di piazza Carlo Erba, sede della Rizzoli, dove il figlio andava a consegnare le vignette del padre. «Spesso andavo a consegnare alla segretaria i disegni di papà - raccontava Alberto in un'intervista al Giorno l'anno scorso -. Lei li portava in tipografia e stava a controllare che non modificassero nulla perché erano tutti comunisti».
Quando nel '52 con la famiglia tornò nelle sue terre, a Roncole, tenne la casa di Milano «Non lasciò mai la casa: la vendette mia madre dopo la sua morte - racconta ancora Alberto - in periodo di espropri proletari per paura che la occupassero» - e soprattutto continuò a nutrire il suo rapporto con la nostra città. Spesso con la famiglia Giovannino Guareschi tornava a Milano, che per lui rappresentava il progresso, il lavoro, il cambiamento. Molti racconti di don Camillo e Peppone sono, infatti, ambientati qui: dalla Fiera campionaria «tappa d'obbligo, dove noi bambini ci dedicavamo alla raccolta dei depliant» per le gite in famiglia, che i due protagonisti della saga visitano mascherate, alle «scontri» con i militanti politici e le manganellate.
A esercitare grande fascino sullo scrittore parmense il centro con il suo brulicare di persone: «Andavamo alla Rinascente, alla libreria Rizzoli e verso Natale al presepe mobile in piazza
Duomo» ricorda Aberto. Per non parlare dei campi oltre la massicciata di Lambrate: «Dopo il cavalcavia e la Cascina Rosa - racconta ancora il figlio - c'erano solo campi. Lì ho smesso tornarci perché mi viene il magone».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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