"Il cinema? Si salverà E sarà la tecnologia a salvare i nuovi talenti"

Il regista e docente parla dei giovani al tempo della crisi: «Hanno mezzi che ci sognavamo»

"Il cinema? Si salverà E sarà la tecnologia a salvare i nuovi talenti"

Se c'è un milanese al quale chiedere come va e come andrà in questa lunga stagione di incertezze, quello è Maurizio Nichetti. Perché, da artista sensibile, in più di quarant'anni con i suoi film ci ha divertito e avvertito: le sue storie e le sue battute svolgevano il primo compito, la morale sotto di esse completava il secondo.

Quando l'urlo della modernità copre tutto con la sua prosa, ricordati che c'è sempre la poesia. Autore di film come Ratataplan, Ho fatto splash e Ladri di saponette, fondatore della compagnia teatrale Quelli di Grock, oggi docente all'università Iulm e al Centro sperimentale di cinematografia, Maurizio Nichetti - 73 anni il prossimo 8 maggio - resta quel mix vivente tra Buster Keaton e Woody Allen. Sempre che entrambi gli artisti fossero nati e cresciuti a Milano.

Come vive questo periodo condizionato dalla pandemia?

«Con pazienza, tanta. L'apprensione è sotto controllo. Diciamo che sono più preoccupato per i settori che conosco e frequento: il cinema, il teatro, la scuola».

Cominciamo dall'ultima.

«Ho un laboratorio di regia allo Iulm, con un centinaio di ragazzi da gestire a distanza. Quest'anno purtroppo va così. Di buono c'è che in un'aula la marea di volti mi sfuggiva: ora li guardo in faccia tutti, se mi scrivono li inquadro subito. Al centro sperimentale gli studenti sono una cinquantina, distribuiti in tre classi. In questo caso la pratica sarebbe fondamentale. Ma la tecnologia aiuta».

In che modo le viene in aiuto?

«Oggi i ragazzi hanno mezzi che noi giovani cineasti, alla loro età, ci sognavamo: smartphone, camere GoPro, droni. Il tutto a prezzi gestibili. Mica poco».

La storia dei suoi film lo dice: creatività ma anche intuizioni e anticipazioni tecnologiche.

«Le difficoltà moltiplicano la creatività, le crisi portano visioni. E il nuovo che avanza non mi ha mai spaventato. Sono stato tra i primi a credere nel digitale nel cinema. Negli anni '70 ci si doveva salvare con le idee».

E dove andava a pescarle?

«Per strada. Si partiva sempre da lì. Così come peraltro fecero i neorealisti. Prima di loro il cinema era quello degli sfondi finti negli studi».

La sua strada era Milano: mai pentito di questa città?

«Scherziamo? Mi ha dato tutto. Cominciai nel 1971 come pubblicitario, disegnatore per il Carosello allo Studio di Bruno Bozzetto, via Melchiorre Gioia al civico 55. Dieci anni di formazione fondamentale per me».

Una volta ha detto: «Abitando a Milano sono abituato al cambiamento senza dover emigrare altrove».

«Confermo ogni parola».

La pandemia ci chiude in casa alla sera: rischiamo il punto di non ritorno per il cinema in sala?

«Mi è già capitato di dire che da tempo non viviamo la crisi del cinema, ma del cinematografo. Lo schermo si è ridotto, ora quasi tutto passa dalla tv. Questo però accade da prima del covid. Le piattaforme come Netflix, le smart tv, la serialità: oggi trionfa l'accesso dal divano. Ti fregano con la comodità, partendo dalla spesa on line. Il covid ha solo accelerato tutto. Ma le sale resisteranno: si sono già reinventate con la proiezione di dirette, come per i concerti live».

Quando si tornerà finalmente in sala?

«Io penso non prima del prossimo autunno. E parlo anche per il teatro».

A proposito di teatro: lei fondò Quelli di Grock, un'istituzione milanese: li sente ancora?

«La

verità? Di questi tempi non ho il coraggio di chiamarli. Ho paura di sentirli depressi. Ma il teatro esiste da millenni: ha passato carestie, pestilenze, guerre. E finché ci sarà un palchetto su cui salire e parlare, esisterà».

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