Qualche anno fa chi veniva beccato la prima volta a compiere un reato, forse, poteva contare su un po' di indulgenza in tribunale. Oggi non è più così. «Non c'è impunità. I provvedimenti restrittivi vengono emessi, eccome». Lo dice Ciro Cascone, procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei Minori di Milano. Tanto è vero che il carcere minorile Beccaria non ha più posto e i ragazzi devono essere mandati in altre regioni. È un altro problema.
Che cosa succede ai minorenni che hanno commesso un reato?
«È un luogo comune che ai ragazzini non succede mai niente. Chi commette reati ne risponde, pure i minorenni.D'altronde se la stampa riporta e commenta certi episodi di violenza giovanile è perché ci sono stati provvedimenti restrittivi. La risposta delle istituzioni c'è. L'impunità non esiste».
In questo periodo avete registrato un aumento?
«Diciamo che si sono concentrati vari episodi e stiamo tentando di dare risposte immediate. Nei primi due mesi dell'anno 65 o 66 ragazzi sono stati sottoposti a misura cautelari, di cui una ventina in carcere, 20 in comunità e 20 con permanenza a casa. Ma non sono numeri tanto più alti rispetto al pre-pandemia, al 2018. È cambiata la modalità».
In che senso?
«Sono aumentati i reati di gruppo e i gruppi sono più grossi con ragazzini più piccoli, sotto i 14 anni, quindi non imputabili. Si muovono dalla periferia verso il centro. E sono aumentati i reati di rapina. Per molti è la prima volta e anche noi abbiamo cambiato un po' l'atteggiamento. Dobbiamo dare un argine, un messaggio chiaro che non c'è impunità».
Come?
«Se il reato è grave, come la rapina, tendiamo a intervenire con provvedimenti immediati prima del processo. Arresti domiciliari, comunità o carcere minorile. Ma a Milano il Beccaria è pieno. Finiscono a Roma, a Napoli, a Firenze, Caltanissetta. È un problema anche questo, dovrebbero restare sul territorio. Ma l'importante è fare in modo che non commettano più reati».
Cosa fare?
«Dobbiamo arginare. Ci sono ragazzi che commettono e continueranno a commettere reati. E speriamo di individuarli tutti. Ci sono tanti invece che potrebbero subire il fascino di questi episodi e emulare, i social vengono usati come palcoscenico. Sono loro che dobbiamo tirare fuori. Come? Non dandogli solo parole o prediche».
Per esempio?
«Noi facciamo e continueremo a fare repressione. Ma non è il processo penale che può risolvere i fenomeni sociali. Bisogna lavorare sulla prevenzione, che non significa mettere i poliziotti o l'esercito per strada. Con i giovani bisogna agire diversamente. Stiamo assistendo ora agli effetti sociali della pandemia. Le restrizioni per alcuni hanno portato alla chiusura, al disagio psichico, all'autolesionismo, ai tentativi di suicidio, per altri ha significato ritrovarsi con il gruppo territoriale, bande che si danno un nome del quartiere, della strada, del cap e che hanno anche una rabbia che non riescono a gestire. Da qui, anche gli episodi di aggressività e violenza. A quell'età i ragazzi devono essere impegnati in qualcosa, inseriti in un percorso educativo. Specie nelle periferie ci sono tanti adolescenti che non vanno a scuola, non lavorano. Non fanno niente. Bisogna ripartire da là e invertire la rotta. Offrire occasioni educative, seguirli, tenendo conto che i frutti li vedremo tra 10 anni. D'altronde noi ci accorgiamo di un fenomeno sociale solo quando scoppia il reato».
Molti denunciano, ma molti altri non lo fanno.
«La sensazione è che ci sia un sommerso. Ci può essere un senso di preoccupazione e anche di sfiducia, per cui temo che non tutti i reati vengano denunciati. Io esorto sempre a fare le denunce.
La settimana scorsa, per esempio, è stata data esecuzione ad un'ordinanza di custodia cautelare a 6-7 minori, perchè abbiamo messo insieme episodi con la stessa matrice dello stesso gruppo. Quindi si tratta di più fatti, più denunce anche non sempre gravi ma così arriviamo a individuare gli autori».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.