"Il governo ci deve aiutare", il grido della città che resiste

Ariana Mali, proprietaria del wine bar milanese Dito Divino, con il nuovo lockdown si converte al delivery. "Altrimenti chi paga l'affitto?"

"Il governo ci deve aiutare", il grido della città che resiste

Ormai è solo una questione di ore. A Milano si chiude ancora. Ma L’aria che tira non è quella di marzo. Per chi ha un’attività il prezzo del lockdown questa volta è più alto. “Adesso o ti reinventi o fallisci”, dice a IlGiornale.it Ariana Mali, proprietaria del Dito Divino, wine bar a pochi passi da piazza Cordusio. A settembre, dopo la riapertura, il lavoro aveva cominciato a girare, anche meglio di prima. Doppio turno a pranzo, aperitivi e cene fino a tardi. "Ho assunto anche una persona in più, avevo già organizzato eventi e degustazioni. Poi, a ottobre i contagi son ripresi insieme alle limitazioni. Con i clienti della pausa pranzo in smart working e la chiusura anticipata alle 18, gli incassi si sono dimezzati di giorno in giorno. Al massimo - confessa Ariana - la sera conto 200 euro. Peccato, perché avevamo ripreso così bene dopo sei mesi di sacrifici”.

Più di 50mila euro bruciati nel primo lockdown

In primavera la gente aveva paura e già prima del lockdown dell’8 marzo Milano era deserta. "Anche noi avevamo il terrore di contagiarci. Così - aggiunge la proprietaria del Dito Divino - abbiamo deciso di chiudere in anticipo di qualche ora sul Dpcm. Con la riapertura del 18 maggio, però, le cose non migliorano. La gente continua a non fidarsi. “Ho aperto la mattina e ho richiuso la sera”. Il locale resta chiuso sei mesi. Agli oltre 50 mila euro di guadagni bruciati durante la serrata di primavera si aggiungono le bollette della luce e i 4 mila euro di affitto che, anche se scontato del 30%, va pagato ogni mese. "Lo sgravio vale solo per i due mesi di lockdown. Durante gli altri in cui siamo stati chiusi per scelta obbligata, perché la gente ad andare al ristorante non ci pensava proprio, nessuno ci ha aiutato. L’affitto l’abbiamo pagato facendo i sacrifici. Poi, a settembre le persone avevano ricominciato a fidarsi, a uscire a pranzo, a cena per l’aperitivo e noi abbiamo lavorato tantissimo. Ma è durato poco", aggiunge Ariana. E la disillusione di oggi pare quasi peggio della paura di marzo.

"Passo al delivery per pagare l’affitto del locale"

A danneggiare i ristoratori del centro di Milano non è tanto un altro lockdown imposto dall'ennesimo Dpcm. È stato lo stillicidio delle limitazioni di ottobre a condannarli. "Da metà ottobre - spiega Ariana - i coperti si dimezzavano di giorno in giorno. Fino ad oggi, il nostro ultimo giorno. Meno di dieci persone e l’incasso non arriva a 200 euro. Come fai ad andare avanti così? La chiusura definitiva non mi cambia niente. È come se io avessi già chiuso giorno per giorno con la progressiva diminuzione dei coperti. Ma la rabbia non serve, anche perché questa volta so che sarà lunga. Non è questione di un mese. Andremo avanti così, apri e chiudi, almeno fino all'estate prossima".

La sensazione è che se non si trova un'alternativa per rimanere a galla, questa volta si chiude davvero. Anche perchè si parte già da una situazione di debito, a un passo dal baratro. E per scongiurare il fallimento Ariana punta tutto su asporto e delivery. Un servizio che se, da una parte garantisce un canale per publicizzarsi, dall’altra trattiene il 30% degli incassi sugli ordini. "Quindi - sottolinea Ariana - altre uscite da mettere in conto, oltre alle spese per affitto e bollette, agli stipendi delle ragazze della cucina e alla cassa integrazione per le cameriere. Ma non ho alternativa, le devo tentare tutte. Ho anche appuntamento con un social media manager per mettere a punto una campagna pubblicitaria sui social e intercettare una fetta alternativa di clientela rispetto a quella che ci può trovare sulla piattaforma del delivery. I nostri stessi clienti affezionati o i pochi che non sono ancora in smart working possono venire da noi e ordinare una torta per colazione, un panino particolare per la pausa pranzo o magari il nostro amato riso rosso con salmone e avocado per cena".

La proprietaria del Dito Divino è pronta a partire da delivery e asporto per convertirsi a gastronomia, garantendosi così le entrate sufficienti per pagare almeno le spese e, nel frattempo, rimanere a galla. "Di chiudere non se ne parla. Non è come a marzo.

Oggi non possiamo più permettercelo perché partiamo già da una situazione di debito, praticamente a un passo dal fallimento. Noi ce la mettiamo tutta, ma il governo ci deve aiutare. Altrimenti, questa volta si chiude davvero".

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