I francesi: "I nostri simboli non li nasconderemo più"

Rabbia e commozione per mille persone al consolato. I cittadini: "Abbiamo sopportato troppo nel nome del politicamente corretto"

Il console francese Oliver Brochette
Il console francese Oliver Brochette

Alle 15.31 la bandiera italiana e francese, chiuse in segno di lutto da mercoledì, giorno dell'attacco terroristico alla redazione di Charlie Hebdo, vengono di nuovo srotolate. È il gesto simbolico per dire che i francesi, anche gli 8mila che risiedono a Milano (sono circa 30mila in tutto il nord Italia) sono ancora sotto choc, sgomenti e arrabbiati per le stragi dei giorni scorsi, ma la vita deve andare avanti. Un migliaio di residenti con origini Oltralpe o qui temporaneamente per lavoro si sono riuniti ieri in presidio davanti alla sede del Consolato francese di via Moscova per ricordare le vittime, nella stessa ora in cui a Parigi iniziava la marcia anti-terrorismo.

Sul palco il console generale Oliver Brochet ha scandito i 17 nomi dei connazionali uccisi. Prima di cantare con la folla la Marsigliese, l'inno nazionale eseguito con le matite alzate e i cartelli con lo slogan diventato simbolo «Je suis Charlie», ha ribadito: «Oggi manifestiamo il nostro rifiuto del razzismo e dell'antisemitismo. Sono Charlie, sono francese o no, sono ebraico, musulmano, cristiano, ateo, sono di destra, di sinistra, sono libero e voglio vivere in pace».

Sui fogli bianchi appesi ai muri e sui libro delle condoglianze anche i bimbi francesi-milanesi scrivono fieri «Je suis Charlie», tra qualche anno forse capiranno il senso. Maria, francese d'origine e da un anno a Milano, indica invece il figlio e ammette che «oggi ho paura, soprattutto per lui». La giunta Pisapia ha lanciato il bando per costruire moschee in aree pubbliche, il centrodestra chiede con fermezza di ritirarlo. Maria non è un politico ma dice: «In questo momento sarebbe meglio rallentare». Per la signora Nicole Quesnel «è arrivato il momento di reagire, abbiamo sopportato anche troppo nel nome del politically correct , ormai non fanno neanche più il presepe nelle scuole per non offendere le altre religioni. Ma gli islamici, a differenza delle altre comunità straniere, come quella peruviana o ucraina, hanno dimostrato di non volersi integrare, non ha senso cancellare i nostri simboli per non urtare la loro sensibilità». Alain G. vive da 5 anni vicino a Milano e insegna al liceo francese: anche secondo lui l'estremismo islamico si combatte «rafforzando i nostri pilastri, invece mostriamo tutta la debolezza della nostra fede e delle nostre tradizioni». Racconta di aver discusso in classe con gli allievi il giorno dopo la strage a Charlie Hebdo: «Nei loro interventi c'era rabbia, confusione. Ma devo ammettere che diversi hanno anche giustificato i terroristi, non hanno colto il senso della libertà di espressione, invece sostenevano che offendendo la religione islamica i vignettisti se la sono in qualche modo cercata, e hanno pagato con la morte».

A rappresentare il Comune è arrivato al consolato l'assessore alla Cultura, Filippo Del Corno. Presenti tra i politici le consigliere comunali del Pd Paola Bocci e Elena Buscemi, il deputato Pd Emanuele Fiano, il radicale Marco Cappato.

Hanno scritto un messaggio sul libro Cecilia Strada, a nome di Emergency , e la Comunità ebraica di Milano. Una rappresentate della comunità somala ha stretto la mano al console: «Come cittadina musulmana sono qui per dire che siamo con voi».

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