I galleristi premiano Miart «Una vera fiera europea»

È forse un po' prematuro dire che Miart possa coincidere con una ripresa del mercato dell'arte italiano che da anni langue sotto il peso della crisi. Ma l'atmosfera che si respira in questi primi giorni di fiera è carica di ottimismo. La nuova edizione della kermesse milanese dedicata alle gallerie vede finalmente risvegliarsi un collezionismo non solo italiano ma anche internazionale, attirato da stand finalmente di livello europeo per qualità di opere e allestimenti. La buona presenza straniera, 60 gallerie su un totale di 148, è soltanto una delle qualità che hanno arricchito la manifestazione diretta da Vincenzo De Bellis. Molto apprezzata, anche dai media anglosassoni, la sezione «THENnow» che mette in dialogo artisti storicizzati e nuove generazioni. L'arte minimal del Dopoguerra, in linea con gli indici di mercato, primeggia rispetto alle nuove proposte e anche i prezzi degli artisti in mostra - dagli Spazialisti come Fontana, Castellani e Bonalumi alle ricerche gemetriche di Dadamaino - volano alto. Eppure l'entusiasmo è palpabile, confortato anche dalle vendite: nel primo giorno di fiera, un'«intersuperficie» di Paolo Scheggi è stata acquistata per 250mila euro. Molto soddisfatti i collezionisti giunti da ogni parte d'Italia ma anche dalla Francia e dalla Svizzera. «Quest'anno - dice un noto buyer milanese - il livello ha superato Artefiera di Bologna e certamente non è inferiore alla Fiac di Parigi. Diciamo che, rispetto a Parigi, manca ancora un vero circuito che lega la fiera alla città con eventi nei musei e nelle gallerie civiche; ma per far questo servono forti investimenti». Di ottimo umore i galleristi italiani presenti anche quest'anno. Michele Casamonti, titolare della galleria Tornabuoni, propone una vetrina sulla grande arte italiana del Dopoguerra, con opere importanti da Fontana a Burri a Boetti. «Con questa edizione - dice - Miart si è definitivamente affermata come la principale vetrina italiana sull'arte, al pari di Art Brussels o Fiac di Parigi. E anche per quanto riguarda il fattore business possiamo dire di vedere finalmente la luce in fondo al tunnel. Ovviamente tutto si può migliorare e, sempre salvaguardando l'alta qualità, la fiera potrebbe tornare ad aprire agli artisti del nostro grande Novecento, che sono poi coloro da cui discendono direttamente astratti e informali che oggi primeggiano sul mercato. Infine, dovrebbe ulteriormente aumentare la presenza di galleristi internazionali, ma il problema è complesso: un gallerista newyorkese che tratti opere importanti, per uno stand in Italia deve sostenere costi altissimi e la crisi europea non attira...». Soddisfatto anche Lorenzo Poggiali, della galleria Poggiali & Forconi che punta maggiormente su artisti contemporanei italiani, come Luca Pignatelli, Alessandro Papetti, o Davide Bramante. «Il livello di questa edizione - dice - lo paragonerei a quello della fiera Miami Basel. Oggi il mercato punta a sicuri nomi storicizzati ma noi continuiamo a proporre con successo artisti viventi anche giovani. La differenza è che prima della crisi venivano acquistati anche da collezionisti medi, ora vengono fagocitati da quelli top». Nel suo stand, Matteo Lampertico presenta grandi italiani del Novecento, da Giuseppe Capogrossi ad Agostino Bonalumi. «È evidente che ai collezionisti è tornata la voglia di spendere.

Quasi tutti però vogliono nomi sicuri, consacrati dal mercato, come ora gli Spazialisti. Rispetto al passato è venuto a mancare il sano collezionismo controtendenza, che punta su nomi nuovi e magari li scopre. Peccato».

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