Si celebreranno stamattina alle ore 11 alla Basilica di Santa Maria della Passione i funerali di Filippo Crivelli, detto «Pippo», che ci ha lasciato all'età di novantatré anni, portandosi dietro una parte della vecchia Milano, oltre che una storia infinita, fatta di scelte artistiche alquanto particolari che attraversavano tutti i generi teatrali, dal Cabaret, alla Prosa, all'Operetta, al Musical, all'Opera lirica. «Ambrogino d'oro» nel 2018, sapeva di tutto, essendo una memoria vivente, sempre disponibile quando si ricorreva a lui per avere notizie più dettagliate di artisti con cui aveva lavorato. Due anni fa gli fu conferito il Premio Enriquez alla carriera che accettò volentieri perché riteneva Enriquez un regista tra i più importanti durante gli anni Sessanta.
Aveva sette anni meno di Strehler, suo compagno di lavoro, dopo essere stato assistente di Visconti. Ben presto iniziò la sua carriera che lo vide impegnato tra i più importanti teatri italiani, dalla Scala, al Piccolo, dall'Opera di Roma, al Maggio Fiorentino, dal San Carlo di Napoli al Politeama di Palermo. Ha lavorato con le nostre cantanti-attrici, anche di fama internazionale, come Milly, Milva, Vanoni, Cortese, Betti, Nogara, Neri e Monti.
Amava misurarsi con tutte le discipline e, pertanto, con ogni forma di spettacolo, mettendo la sua professionalità e creatività al servizio degli artisti, dai quali era molto amato e rispettato per la sua gentilezza e la sua affabilità, ma anche per il suo dolce sorriso. C'erano dei momenti in cui si impuntava e si arrabbiava, soprattutto, quando era certo che la sua idea di regia funzionasse bene. Anche quando riscuoteva successi, non si dava delle arie, erano frutto, a suo avviso, di un lavoro ben fatto, come a voler dire che, in teatro, non bastano né la professionalità, e nemmeno il talento, bensì il mestiere che si impara studiando. E lui studiava molto, anche la musica, essendosi scritto al Conservatorio di Milano che abbandonò perché attratto dalla prosa, dopo aver conosciuto Tatiana Pavlova, la regista russa venuta in Italia per far conoscere il metodo Stanislavskij. La conoscenza musicale fu determinante, come del resto lo fu per Strehler, perché, diceva, non si può mettere in scena un'Opera lirica senza conoscere lo spartito.
Le regie liriche da lui realizzate, sono state tantissime, amava le sfide e accettava di realizzare Opere che nessuno avrebbe portato in scena, da Andrea Gabrielli a Claudio Monteverdi, da Francesco Cavalli a Domenico Scarlatti, da Baldassare Galuppi a Giovanni Battista Pergolesi, da Domenico Cimarosa ad Antonio Salieri, non mancano gli amati Mozart, Verdi, Rossini e, in particolare, Donizetti, di cui ha rappresentato l'Opera omnia. Amò cimentarsi anche con i moderni, da Hindemith a Poulenc, da Weill a Menotti a Bettinelli. Ha lavorato con la Callas, con la Tebaldi, con Pavarotti, con la Fracci, eppure divenne famoso per il «Milanin Milanon» (1963), insieme a Milly e Tino Carraro, che ha ripreso infinite volte, a grande richiesta, e come poter dimenticare: «Bella ciao» (1964), spettacolo di canzoni popolari, realizzato con Giovanna Marini.
Non si risparmiava mai, amava il lavoro più di se stesso, riteneva necessaria la documentazione, perché, diceva, non basta sapere improvvisare, dato che, anche chi possiede il talento, ha sempre bisogno di studiare Per quanto riguarda la prosa, aveva i suoi beniamini in Achille Campanile e negli autori milanesi, come Gadda, ma soprattutto, Bertolazzi, di cui si ricorda una quasi novità assoluta: «La maschera», andata in scena al Franco Parenti con Elena Ghiaurov. Un successo straordinario, quasi inaspettato, fu «L'Orestea di Gibellina», scritta in dialetto siciliano, da Emilio Isgrò, con le Macchine spettacolari di Arnaldo Pomodoro e con i canti originali di Rosa Balistreri.
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