Con Misericordia che la Compagnia Sud Costa Occidentale produce insieme al Piccolo Teatro e che sarà in scena per oltre un mese al Teatro Grassi (fino al 16 Febbraio), Emma Dante ritorna alle origini della sua ricerca teatrale fondata su quattro elementi: la scrittura scenica, il mistilinguismo tra dialetto e lingua, la famiglia come luogo di violenza, la recitazione che, da una particolare ritualità, si orienta verso forme performative che, in anni recenti, hanno evidenziato la «perturbante vitalità», tipica della sua idea di teatro, carica di ambiguità, di ambivalenze, di arcaismi che mi ha fatto pensare alla «Trilogia della famiglia» e, in particolare, a «Carnezzeria», dove il personaggio femminile è visto come «una cosa di carne», soggetto alla violenza del maschio che la Dante rappresenta ricorrendo a stilemi che appartengono a una liturgia primitiva, più antropologica che religiosa, attenta a sottolineare l'ingiustizia che regna in ambiti dove il degrado diventa spazio di irrazionalità, fonte, a sua volta, di ogni violenza. Lo spettacolo racconta, attraverso tre protagoniste che, per vivere alternano, durante il giorno, il lavoro a maglia e che, di sera, si prostituiscono, la storia di una madre malmenata a forza che, prima di morire, darà alla luce un bambino che sarà accudito proprio da esse. Protagonista è la degradazione umana che produce una violenza atroce, di cui sono vittime le donne. Emma Dante non considera la misericordia una compassione nei confronti dell'infelicità altrui, essa non richiede né pietà né perdono, né richiama la Lettera Apostolica di Papa Francesco: «Misericordia et misera», le due parole utilizzate da Agostino per raccontare l'incontro di Gesù con l'adultera; il suo intento è quello di coinvolgere lo spettatore, al quale chiede di riflettere su quanto accade dentro quel «ventre oscuro che ha a che fare con qualcosa di terribile», dove le donne sono costrette a subire violenza, non solo fisica, ma anche psicologica. La Dante si è ricordata di una poesia di Sanguineti: «La ballata delle donne» in cui il poeta genovese fa un inno alla donna, sintetizzato nel verso finale «Femmine penso, se penso l'umano». Ebbene, è proprio questo umano, il vero assente in Misericordia che racconta un mondo sociale arcaico, ignorato dalla politica, dove la fragilità della donna coincide con «una disperata e sconfinata solitudine».
Tutto questo viene tradotto con un linguaggio adeguato, in cui lo spazio vuoto, arricchito da qualche sedia e da giocattoli colorati, si riempie di una fisicità performativa, ovvero di una recitazione frenetica che antepone il linguaggio del corpo a quello del testo e dove le tre attrici (Manuela Lo Sicco, Leonarda Saffi, Italia Carroccio), si muovono in una specie di trance che coinvolge il giovane Arturo, Simone Zambelli, che recita in mutande, stordito dal modo con cui gli raccontano la storia di sua madre, Lucia la zoppa, vittima e martire della violenza maschile.
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