«Non portate la kippah». Meglio non indossarla, o almeno nasconderla sotto un cappello. È la Comunità ebraica, in fondo, che lo consiglia per ragioni di sicurezza e incolumità. Una «regola non scritta», una raccomandazione da far valere praticamente in tutta la città, salvo quel fazzoletto di strade che oggi viene considerato il quartiere ebraico.
Impensabile attraversare certe vie, basti pensare a San Siro o via Padova, ma mostrare il tradizionale copricapo ebraico è sconsigliato in generale. «Per un ebreo è importante avere il capo coperto. Va bene anche un cappello: è un segno di umiltà, è vero però che la mia scelta di indossare la kippah nasce da un impeto interiore ed è, per me, un orgoglio» racconta Davide Yosef C., un giovane professionista che di recente ha denunciato un tentativo di aggressione: è stato preso a sputi e insultato, in pieno giorno, in centro, senza neanche un pretesto.
A Milano, nel 2022, il solo fatto di essere identificato come ebreo può essere rischioso. E per «quieto vivere» molti scendono a patti con questa realtà. «Molti hanno assorbito il pericolo e accettano tutto ciò senza scandalo - riflette un membro della Comunità -. Il problema è che ci stiamo abituando alla nuova normalità, come prima ci siamo abituati ad avere la polizia fuori dalle sinagoghe».
Tutte le indagini attestano una nuova emergenza. L'antisemitismo c'è, anche se non si dice abbastanza. Le società europee si trovano nuovamente a che fare con lo spettro dell'odio antiebraico ma faticano a raccontarselo, perché questo antisemitismo è trasversale politicamente e spesso è di matrice islamista. Da alcuni Paesi, gli ebrei scappano già da molti anni. Le banlieue sono off-limits.
L'Italia non è messa peggio di altri Paesi, anzi, è il secondo Paese europeo meno interessato da attacchi antisemiti secondo uno studio presentato alla Conferenza dei rappresentanti delle Comunità ebraiche organizzata a Budapest la settimana scorsa dalla «European Jewish Association».
Finora, gli episodi sono stati rari. Lo scorso anno si era parlato degli sproloqui antisemiti della dipendente di una farmacia. L'episodio divenne oggetto di una segnalazione all'Osservatorio antisemitismo. Il titolare si scusò. Di tutt'altra matrice, l'episodio che a maggio ha colpito Davide. Alle 18 è in corso San Gottardo-piazza 24 Maggio. «Yeudì?» gli chiedono. «Sì» risponde. «Pioggia di sputi e qualche "vaffanculo" - racconta -, sono due arabi che stavano per essere raggiunti da altri due. I passanti fingono di non vedere. Io corro, loro accennano a inseguirmi ma desistono subito». Interviene il consigliere comunale (Pd) Daniele Nahum. «È una persona credibile - dice - e bisogna prendere spunto da quello che gli è accaduto». «Purtroppo questi fatti sono aumentati molto - commenta, interpellato dal Giornale, il presidente della Comunità ebraica Walker Meghnagi - sono bande di ragazzini, gli stessi che girano per Milano e disturbano parecchio o fanno di peggio».
L'episodio rimanda a quanto successo nel 2017 quando, in piazza Cavour, un sit-in contro Israele organizzato dai centri islamici era degenerato in slogan jihadisti e antisemiti. A Milano la Comunità è perfettamente integrata e vive tranquilla. Ma il timore è che la città abbia imboccato il piano inclinato di altre metropoli europee. Davide Yosef, pochi giorni dopo l'aggressione, ha vissuto con inquietudine un altro episodio. Erano le 23.15, alla fermata Castelbarco. «Altri due ragazzi arabi, uno di questi, dopo aver parlato con il suo amico della mia presenza e della Palestina mi chiede: "Yehudi?", con un sorrisino ironico. Annuisco. Per fortuna, il secondo ragazzo non segue il primo, sembra pronto a far serata sui Navigli e ha altro per la testa». Il giorno dopo, ancora in San Gottardo, stesso luogo degli sputi, una scena simile, la terza.
Davide Yosef è sbalordito e preoccupato. «Il problema c'è». «L'equilibrio - riflette - è sempre stato preservato dalla regola non scritta che la kippah o altri simboli ebraici siano sconsigliati in quasi tutti i quartieri. Una gentile richiesta di nascondersi». Non siamo in Francia o in Belgio ma, forse, lo scenario futuro è quello».
«Confesso di essere abbastanza stanco della situazione anche perché tutto accade a cento metri da casa mia» ammette. «Per un po' dovrò cambiare la fermata del tram e indosserò un cappello ma spero che la mia vicenda non sia politicamente archiviata».
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