Se Milano sale in classifica il Comune non c'entra niente

Sprizzava soddisfazione da tutti i pori, Giuliano Pisapia sindaco di Milano, commentando i risultati dello studio che anche quest'anno l'università romana La Sapienza ha realizzato per «ItaliaOggi» sulla qualità della vita nelle città italiane. Sì, era proprio contento – «è motivo di orgoglio» è arrivato a dire - per quelle due stiracchiate posizioni che nel 2013 Milano ha guadagnato rispetto al 2012, passando dal trentanovesimo al trentasettesimo posto. Pisapia però non precisava a quali dei singoli fattori di valutazione in particolare era dovuto questo progresso quasi irrilevante, non distingueva fra luci e ombre e tanto meno ne attribuiva le responsabilità. Infatti che merito ha la giunta arancione se Milano è prima come tenore di vita? Se la nostra è la città più ricca d'Italia non è certo una scoperta recente e tanto meno è merito di Pisapia. Semmai riesce ad esserlo nonostante Pisapia, il suo accanimento nell'aumentare tasse e tariffe e nel complicare la vita a imprenditori e commercianti, nel creare costi aggiuntivi come il ticket per l'Area C. Così come non hanno alcun merito per il bel secondo posto, dall'undicesimo dell'anno scorso, nel settore salute, la cui politica, com'è noto, dipende dalla Regione. E, comunque, anche che la sanità milanese e lombarda funzioni non è una novità. Pisapia ci spieghi, semmai, il clamoroso e umiliante flop per quanto riguarda l'ambiente, principale capitolo del programma verde-rosso che lo ha spinto a Palazzo Marino: dal 58esimo al 95esimo posto nonostante Area C, biciclette dappertutto e domeniche a piedi: è il segnale di un fallimento, di promesse non mantenute e impegni disattesi. Così come nel tempo libero - cioè cultura, sport e intrattenimenti vari su cui tanta enfasi era stata messa in campagna elettorale - Milano in un anno è passata da un dignitoso livello 18 ad un umiliante livello 67 - ma cultura non era roba loro? Tuttavia il vero disastro, sebbene ampiamente previsto, riguarda la sicurezza, settore vitale (è proprio il caso di dirlo!) che vede la nostra città precipitare addirittura all'ultimo posto, centodecima su 110, dopo la Napoli di Scampia, per intenderci. In barba alle statistiche di comodo che non distinguono fra scippi alle vecchiette e rapine in banca, fra aggressioni alle donne e risse in discoteca. Lo studio della Sapienza, insomma, è impietoso e Pisapia ha ben poco da esserne compiaciuto, giacché quella ricerca dimostra inequivocabilmente che progressi o piazzamenti positivi in questa speciale classifica Milano li ottiene in ambiti che non dipendono dalla politica della giunta, mentre i risultati più umilianti riguardano direttamente le competenze di Palazzo Marino.

Come dimenticare la spocchiosa sufficienza ideologica con cui Pisapia e i suoi hanno sempre trattato la questione della sicurezza, considerandola una fissazione da biechi borghesi reazionari? E come non ricordare l'arrogante determinazione con cui vollero far sparire i militari dalle strade, nonostante le proteste di tanti cittadini? «Non siamo nel Cile di Pinochet» arrivò a dire qualche sessantottino di ritorno. Pisapia, dunque, ha poco da essere soddisfatto e non ha alcun «motivo di orgoglio» per quello studio, che non è altro che l'analisi scientifica di un fallimento.

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