Mancano due mesi, ma è già tutto pronto per la ventiduesima edizione di Miart, la fiera d'arte milanese che da quest'anno ha un nuovo direttore. È il giovane Alessandro Rabottini, già braccio destro del direttore uscente Vincenzo De Bellis, anch'egli appartenente a una generazione di respiro internazionale. E proprio quello della continuità è un concetto che ama sottolineare mentre parla della nuova edizione di una fiera fortemente cresciuta negli ultimi anni proprio grazie al suo predecessore, oggi curatore al Walker Art Center di Minneapolis. «D'altra parte - dice - una fiera d'arte non è una mostra, ma una struttura il cui successo è legato al lento consolidamento negli anni, unica strada per guadagnarsi la fiducia delle gallerie che contano e dei grandi collezionisti».
Squadra che vince non si cambia, insomma?
«Beh, qualcosa di nuovo per la verità c'è. Anzitutto l'aumento delle gallerie estere (71 su un totale di 175), con nomi importanti che intervengono a Miart per la prima volta, come Barbara Gladstone di New York. Poi inaugureremo nuove sezioni, come quella ribattezzata On Demand, che comprenderà installazioni site specific e performance. Un'altra l'abbiamo chiamata Generations, e presenta coppie di gallerie nelle quali sono messi in dialogo due artisti di generazioni diverse».
A proposito di generazioni, quali oggi sono gli artisti che dominano il mercato, almeno da queste parti?
«Miart ha la peculiarità di abbracciare sia l'arte del '900 sia il contemporaneo e anche quest'anno i riflettori saranno ovviamente puntati sugli artisti italiani e stranieri del Dopoguerra, dagli Spazialisti all'Arte Povera, le cui quotazioni sono ancora al top».
E i giovani? Oggi quelli selezionati dalle gallerie che contano hanno già prezzi proibitivi.
«Dipende. In questi anni ho imparato che i collezionisti italiani sono più attenti e preparati di quelli stranieri e quindi riescono a scoprire i talenti prima che approdino ai grandi palcoscenici, quando cioè costano ancora poche migliaia di euro».
Ma diciamo la verità, son finiti i tempi romantici delle grandi collezioni costruite con pochi soldi e tanto fiuto.
«Il mondo dell'arte è cambiato come tutto il resto. Sono cambiati i tempi e le dinamiche e tutto viaggia in modo acceleratissimo anche grazie a internet. Però, pur parlando di beni di lusso, vedo ancora costruire dignitose collezioni anche da chi non ha conti in banca faraonici».
Di sicuro, il mercato dell'arte sembra refrattario alla crisi economica.
«Tant'è, perchè trattasi di un mercato globale che a volte proprio nei momenti difficili manifesta vivacità. Se così non fosse non ci sarebbero così tante fiere in giro per il mondo».
Secondo lei che cosa manca ancora a Miart per essere una fiera davvero
internazionale?«Il problema è strutturale e riguarda il sistema fiscale italiano che, con l'Iva al 22 per cento, certo non invoglia i collezionisti stranieri. Anzi, spesso invoglia i nostri ad andare a comprare all'estero...».
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