«Il vero costo sociale della pandemia l'hanno pagato i ragazzi, dai preadolescenti agli studenti universitari. Un prezzo che ancora non si è fatto sentire in tutta la sua portata anche se alcuni fenomeni come il cyberbullismo e le baby gang sono i primi campanelli di allarme». A parlare così è Flaminio Squazzoni, docente di Sociologia all'Università degli Studi che lancia un grido di allarme sulle conseguenze della pandemia sui giovani.
Cosa sta succedendo?
«L'adolescenza è l'età in cui si forma la personalità, in cui si cerca il proprio posto nel mondo e questo processo avviene attraverso la relazione con l'altro che è anche un riferimento conflittuale e di conferme. In quella fase i ragazzi sono stati chiusi in casa, hanno perso qualsiasi relazione con l'altro che non sia quella virtuale mediata dalla tecnologia, a cui sono stati esposti prematuramente, comprese le serie tv che stanno riscrivendo il valore simbolico ed espressivo della violenza. Il risultato è che sono aumentati i fenomeni di cyberbullismo o le baby gang, dove i ragazzi di organizzano in branco per esercitare violenza e confrontarsi col rischio. L'adolescenza è anche la fase della crescita in un cui si completa lo sviluppo della corteccia pre-frontale, parte del cervello deputata all'elaborazione del rischio e allo sviluppo della responsabilità. I ragazzi sono così vulnerabili e ricettivi: hanno bisogno di un contesto di riferimento chiaro».
C'è chi ha aumentato la propria aggressività, ma ci sono ragazzini invece che la dirigono verso se stessi con autolesionismo, disturbi del comportamento alimentare o ritiro dal mondo sociale.
«Abbandonati a se stessi, rinchiusi in camera e iper esposti al mondo virtuale i ragazzi non hanno potuto formare una loro identità, perdendo anche la capacità di costruire relazioni reali, che implicano anche un costo, una scelta, spesso annullate dai social, in cui non esistono costi di relazione e di scelte. A questi 2 anni di incertezza si aggiunge la guerra, con lo scenario di distruzione e violenza. I genitori non costituiscono fermi punti di riferimento ma più che altro prismi e specchi di insicurezza».
Si è tanto parlato di spazi per la socialità, non pensa che una contaminazione dei giovani con opportunità di sport, di aggregazione, di spazi culturali potrebbe aiutarli a trovare un'alternativa? Ed essere in parte una compensazione da parte della società
«Sicuramente, bisogna aiutare i ragazzi a riappropriarsi degli
spazi pubblici, di corpi e relazioni reali. Il fenomeno delle baby gang può essere anche letto anche come un loro tentativo di riappropriarsi di questi spazi. Non lasciamo però alle gang la soddisfazione di questo bisogno».
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