Miniauto e corse urbane a prezzo fisso per battere traffico e caro tariffe

Paolo Stefanato

Difficile convincere il detentore di privilegi alla rinuncia. E chi lo farebbe? L’uomo è conservatore, ma lo è ancora di più quando ritiene di essere esposto al peggio. Bersani non riuscirà a liberalizzare i taxi: già il decreto originario conteneva, in fondo, piccole aperture (un tassista, due licenze), e la fase due è ancora più modesta (una licenza, due macchine). Se anche la linea del governo dovesse sortire qualche risultato, né a Milano né a Roma - le due città davvero «vittime» di un cattivo servizio - si troveranno facilmente auto bianche nelle ore di punta, alle uscite di fiere e aeroporti, quando piove, nevica o c’è una partita. Non va dimenticato che le 8 (a Roma) o 10 (a Milano) ore di lavoro di un tassista sono del tutto virtuali. Da artigiano autonomo, egli può tranquillamente non recarsi al lavoro o interromperlo a suo piacere; l’orario, nella sostanza, è un massimo da non valicare, non un minimo da rispettare.
Forse l’attacco ai privilegi di una categoria è più facile partendo dall’esterno, e non dal suo interno. E cioè creando una categoria nuova e diversa, contro la quale si possono sviluppare malumori, ma che non può essere negata o annullata dalla categoria «vecchia». Prendiamo il caso esistente: accanto ai taxi convive da sempre, per esempio, il noleggio di vetture con conducente (chiamate, per semplificazione, le «auto blu») che costituiscono un’autentica e crescente concorrenza ai taxi ma con i quali esiste un rapporto sostanzialmente pacifico, in virtù di segmenti di clientela diversi. Non tutti sanno, per esempio, che dal centro di Milano per Malpensa o dal centro di Roma per Fiumicino, un’auto blu, di grossa cilindrata, condotta da una perdona educata, in giacca e cravatta, costa meno di una Multipla col tassista in canottiera e pantaloni corti. La clientela più accorta e più esigente, per servizi che superano la distanza di quartiere, si rivolge al noleggio; ai taxi resta comunque la quasi totalità dei tragitti e, a parte qualche antipatia, c’è lavoro per tutti.
Può essere dunque immaginata una terza categoria, chiamiamola dei «mini-taxi», o «auto metropolitane». L’offerta va differenziata da quella dei taxi normali per permettere, anche qui, una convivenza pacifica, e deve avere alcune caratteristiche «forti»: auto con due soli posti, tragitti soltanto urbani, servizio solo diurno, prezzi fissi. Una flotta di Smart che serve l’utente singolo, frettoloso, senza valigia. Auto agili nel traffico, quindi meno invasive e più ecologiche, magari in versioni a idrogeno. Guidate, a turni, da giovani «freschi» ben selezionati e ben vestiti, anche studenti e studentesse, dalle 7 del mattino alle 10 di sera, a costi accessibili e davvero incentivanti: a Milano, poniamo, 4 o 5 euro all’interno della cerchia dei Navigli, non più di 10 euro all’interno del Comune. I margini per una o più società - pubbliche o private, non importa -, ci sarebbero: grazie al leasing e all’economicità delle vetture, alla pubblicità sulle portiere, ma soprattutto all’intensità (ovvero, alla produttività) del servizio. Ai taxi resterebbe, ancora una volta, il grosso del mercato: la clientela composta da due o più persone, i tragitti extraurbani e gli aeroporti, le ore notturne, il passeggero con bagaglio. Il consumatore potrebbe scegliere in base a un’offerta realmente differenziata.
Per tutto questo, sì, basterebbe un decreto.

La reazione dei tassisti, non c’è dubbio, sarebbe dura: ma non potrebbe impedire la nascita di soggetti nuovi e diversi. Ed essi stessi, i tassisti, finirebbero nel colpevolizzarsi per non aver saputo cogliere l’occasione di diventare, come timidamente proposto dal governo, dei veri imprenditori con più licenze e più auto.

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