Il ministro clemente

Meno male che non gli han dato la Difesa, come fortemente voleva e come gli avevano promesso Massimo D’Alema e Francesco Rutelli: a quest’ora avrebbe già sgomberato l’Irak, riconquistato l’Istria e dichiarato guerra a San Marino. Ha avuto invece e soltanto la Giustizia, Clemente Mastella, ma in due settimane di governo ha battuto ogni record: sta surclassando ogni altro ministro, ha già fatto di tutto e di più, ogni giorno una sorpresa e un gran bel titolo sui giornali. Senza riposarsi nemmeno quando è festa, se ieri è andato a Regina Coeli e s’è messo a cantare ’O sole mio coi detenuti.
Poi dice che il leader di Ceppaloni non è un politico preparato, l’uomo sbagliato al posto sbagliato, colui che ha fatto strabuzzare gli occhi scandalizzati a Tonino Di Pietro quando l’ex magistrato incaricato delle Infrastrutture ha saputo che il nuovo guardasigilli era proprio Mastella, il democristiano inveterato, lo scampato a Mani pulite, colui che del rapporto diretto con la gente e gli elettori ha fatto regola di vita. Pausa di riflessione iniziale, anamnesi dei problemi, prudenza silenzio e cautela? Ma via, Mastella ha sempre preso di petto i nodi, esattamente come fece per Affittopoli e finì alla storia di quella vicenda come l’unico dei politici a lasciar la casa dell’ente.
Così, adesso. Fresco di giuramento, aveva appena messo piede in Via Arenula ed ha annunciato al popolo delle toghe che stava già «studiando» una sospensione della riforma voluta dal suo predecessore. Tranquillizzati i magistrati, è poi corso in visita al carcere di Benevento, nella sua terra, e come ieri a quelli romani ha garantito ai detenuti di sentirsi «più un ministro vostro di quanto non sia un ministro dei magistrati». Quindi a tambur battente e a sorpresa, ecco la grazia a Ovidio Bompressi con l’impegno a farla avere «entro la fine dell’anno» anche ad Adriano Sofri che non l’ha chiesta. Oddio, nella fretta è scivolato sopra un’incresciosa buccia di banana, lasciando che la famiglia del commissario Calabresi apprendesse la notizia dai tigì. Però, s’è mai visto un ministro di questa nostra Repubblica, chiedere pubblicamente scusa per un errore o un gesto di involontaria offesa? Mastella non ha esitato a cospargersi di cenere il capo, ha telefonato ai famigliari della medaglia d’oro per «spiegarsi» e chieder perdono per l’«improvvida» dimenticanza, senza darsi giustificazioni di sorta o tentare arrampicate sui vetri in tv. Infine l’annuncio di un suo impegno immediato e concreto per l’amnistia e l’indulto, che sì, non è nel programma di governo, ma «era stato chiesto da papa Giovanni Paolo II al nostro Parlamento».
Stupisce, tanto furore ministeriale in un politico del Sud? Intanto Mastella è sannita, di un popolo cioè «che ha fatto piangere i romani» come tiene a ricordare. E poi questo exploit lavorativo non è una novità, anche nel ’94 quando divenne ministro del Lavoro con Silvio Berlusconi ci si aspettava da lui un tranquillo ed innocuo tran tran. Invece, pur se quel governo durò poco, Mastella fece in tempo a stupire sindacati e imprenditori per iniziative, idee e fantasia. Il segreto sta proprio nel non essere un «tecnico» bensì un «politico» a tutto tondo, che guarda alla complessità dei problemi, cerca di indovinare gli umori dell’opinione pubblica, è conscio che per restar sulla cresta dell’onda non ci si può accontentare di gestire l’ordinaria amministrazione. Mastella non è vetusto come gli attuali vertici delle istituzioni, ma viene anch’egli da lontano come loro. Compirà 60 anni il 5 febbraio dell’anno prossimo, ma è entrato in Parlamento trent’anni fa, con la benedizione di Ciriaco De Mita, e da allora vi siede ininterrottamente. Pur contando i senatori a vita, c’è pochissima gente che possa vantare un’anzianità parlamentare come la sua, pure D’Alema e Gianfranco Fini, anche Pier Ferdinando Casini, hanno sulle spalle meno legislature di lui.
Che gli si vuol rimproverare, la capacità di monetizzare e far valere il peso del suo piccolo Campanile? Anche questo è far politica, ed essere il Ghino di Tacco dell’Unione può essere un pregio. Che mollò Casini e il Polo per sostener D’Alema? «È stata un’operazione di respiro politico, tant’è che a guidarla era Cossiga», risponde lui assicurando che comunque se un domani gli dovessero intitolare una strada, «non ci sarà scritto Clemente Mastella, ribaltonista». Ciò per assicurare che non è avvezzo ai salti della quaglia, «di Buttiglione e Bossi allora, che dovreste dire?». Volete rimproverargli la moglie, Sandra Lonardo, divenuta presidente del parlamentino campano? «Quei voti, Sandra se li è guadagnati uno ad uno, come il ruolo tra le donne dell’Udeur. E che sta facendo bene il mestiere di presidente dell’assemblea, lo riconoscono anche gli avversari», è la sua risposta. Allora, che ha il vezzo di voler fare il sindaco del suo paese, Ceppaloni... «Ho vinto quell’elezione solo contro tutti, anche i Ds non mi volevano».

Niente, non resta che rimproverargli la piscina a forma di cozza, nel giardino di casa a San Giovanni di Ceppaloni. «Secondo pochi giornalisti malevoli, perché per i benevoli è a forma di conchiglia... Comunque sempre di giornalisti si tratta. Che non sono architetti».

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