«Il mio Barbarossa? Geniale più che cattivo»

Chiedo a Rutger Hauer, mentre prende il sole nel giardino del palazzo delle Stelline: «Perché un altro festival del cinema e perché a Milano, che ne ha già tanti?». «Perché no?», risponde l'attore olandese, poi precisa: «Perché il mio festival, “I've seen“, offre una vetrina al linguaggio di giovani registi di tutto il mondo. Il contatto italiano è stato casuale: la mia associazione Starfish (Stella di mare, ndr) ha sede qui. E qui, fra Centre culturel français, Theca e cinema Gnomo si terrà il festival dal 24 settembre al 3 ottobre: oltre tremila cortometraggi…». Anche fossero tutti di soli cinque minuti, sarebbero centinaia di ore di proiezione. Così diventa più chiaro il titolo del festival, che allude alla frase del replicante, Rutger Hauer stesso, in Blade Runner di Ridley Scott (1982): «Ho visto cose che voi umani non potete immaginare…». E Scott figura in giuria con l'altro regista determinante per la carriera di Hauer, Paul Verhoeven, e con Robert Rodriguez. Fra le celebrità della regia, che fanno anche incassi, manca solo Christopher Nolan, che ha diretto Hauer in Batman's Begins. «Ma non è stato facile convincerli. Del resto che bisogno c'è di cose facili?». E' dunque di un inatteso buon umore l'Hauer milanese. Ricordo bene infatti un altro Hauer, quello scostante che, a Montecatini, nell'estate di qualche anno fa, al mio accostare il suo nome a quello di Scott, con rammarico che non avessero più lavorato insieme dopo Blade Runner, s'impennava: «Non sono affari suoi!». Il tempo addolcisce? «“I've Seen“ - mi dice un sereno Hauer - ha trovato molti finanziatori tecnici, che offrono materiale, ma non fondi pubblici. Però li cerco, a condizione che non mi chiedano accordi politici".
Ma intanto l'immagine «politica» di Hauer si assocerà presto per gli italiani a quella intepretata l'anno scorso in Romania nel film di Renzo Martinelli, ora in postlavorazione in Irlanda: Federico Barbarossa, presentato come gran nemico di Milano. Ancora un cattivo per lei, signor Hauer? «Nelle intenzioni del regista. Ma nel personaggio c'è anche qualcosa di mio. Infatti è semplicistico mostrare l'imperatore, che era un grande, come un cattivo. Dalle mie letture (e non solo dalle sue, ndr) risulta che Barbarossa era un incredibile genio».
Del suo modo d'interpretare, Hauer spiega: «Nessuno è tutto buono o tutto cattivo. A me interessa ciò che sta in mezzo». E in effetti la sua carriera è sotto questo segno. Il suo personaggio più famoso è il replicante che uccide perché vuol vivere ancora, che si rivela superiore agli uomini decisi a ucciderlo; l'ufficiale delle Ss di Fatherland, che indaga su un delitto politico a Berlino, ribattezzata Germania, alla vigilia dell'incontro fra Adolf Hitler e John Kennedy in un immaginario 1964. Del resto l'assassino seriale di Hitcher e il «terrorista» dei Falchi della notte, impersonati sempre da lui, prevalgono sui buoni. A proposito di Hitcher, Hauer precisa: «E' stato dopo averlo visto che Ermanno Olmi mi offrì la parte nella Leggenda del santo bevitore». E scandisce, mettendo la mano sul cuore: «Scott e Olmi sono qui, nel profondo"» Poi mi sorprende passando dall'inglese all'italiano: «Sono un frocio!». E subito, di nuovo in inglese: «C'è chi l'ha detto». Penso a Monique Van de Ven fra le sue braccia in Fiore di carne di Verhoeven (1972) e gli chiedo chiarimenti. Ci sono tanti attori ai quali piace apparire ambigui… Non Hauer: «Odio sembrare un'attrice e non ho abituato il mio pubblico così, come altri fanno per essere più sui giornali».
Se certi attori e attrici non smettono mai di recitare, gli sceneggiatori hanno smesso di pensare, visto che - per rischiare meno - Hollywood rifà vecchi successi. «Siamo al quarto Terminator, al secondo Transformers.

Mi piacerebbe fare il terzo Hitcher: uno ogni dieci anni».
Scherza, ma poi torna serio: «Ogni film è un rischio, anche se è un rifacimento. Anche se è tutto effetti speciali. Dei quali - e torna all'italiano - non mi frega un cazzo!».

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