Modeste proposte per la riforma della giustizia

Gli stretti rapporti tra Costituzione e magistratura

Pensa e ripensa, siamo arrivati a questa fulminante conclusione. Sapete perché il centrosinistra fa quadrato attorno alla Costituzione del 1948? Per la semplice ragione che ha abbracciato la filosofia di Giovanni Giolitti. Palamidone, come veniva soprannominato, era solito dire che le leggi si applicano ai nemici e si interpretano per gli amici. Detto, fatto. Non a caso l’Unione ha sempre tollerato le modificazioni tacite della Costituzione perpetrate dagli «amici». E tra costoro, non da oggi, ha annoverato larga parte della magistratura.
Il pregio del saggio scritto a quattro mani da Nicolò Zanon, che i nostri lettori ben conoscono, e da Francesca Biondi, è proprio quello di denunciare che il re è nudo. Intendiamoci, la loro opera, che ha per titolo Il sistema costituzionale della magistratura (Zanichelli, pagg. 194, 23 euro), ha uno spessore scientifico. Ma se la si legge in controluce, sono parecchie le morali della favola che si possono ricavare.
Per cominciare, la Costituzione dice che la magistratura è un ordine. Ma con il tempo è diventata un vero e proprio potere che tende a esercitare un’indebita pressione sul potere politico. «I magistrati non sono dei politici eletti dal popolo, ma dei funzionari assunti attraverso un concorso che deve saggiare le loro capacità tecniche; le loro sentenze non costituiscono manifestazioni di un indirizzo “politico” all’interno dell’ordinamento, ma sono applicazione ai casi concreti delle decisioni del legislatore, al quale soltanto spetta compiere scelte politiche di carattere generale». Ben detto. Così dovrebbe essere. Ma purtroppo, come ognuno può toccare con mano, così non è. E che dire del Csm? Andreotti sostiene che il terzo ramo del Parlamento è Porta a porta. E invece è per l’appunto il Consiglio superiore della magistratura, che ha la bella pretesa di dare pareri direttamente al Parlamento sulle leggi in materia di giustizia. E per di più vorrebbe che questi pareri fossero in definitiva vincolanti.
Il giudice poi non solo deve essere imparziale ma anche apparire tale. E proprio qui sta il punto. C’è da chiedersi «se l’imparzialità non debba caratterizzare la condotta del magistrato in quanto tale, anche al di fuori del processo e della stessa complessiva attività giudiziaria tipica». E la risposta non si fa attendere: «Il magistrato gode di tutti i diritti e di tutte le libertà degli altri cittadini». Ma «nello svolgimento di attività o ruoli sociali pubblici o comunque particolarmente visibili, egli non dovrebbe mai dimenticare le caratteristiche della propria funzione primaria». Chiaro, no?
Quanto alla separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, per insabbiare tutto una Unione a corto di argomenti dà a intendere che questa sarebbe una fisima dei soliti avvocati di Berlusconi.

Ma la verità è un’altra: la tanto vilipesa separazione delle carriere, in realtà, è una precondizione per un ordinamento giudiziario degno di un Paese civile. Dulcis in fundo, la responsabilità civile dei magistrati. Del referendum del 1987 si sono perse le tracce e la legge 117 del 1988, come le gride manzoniane, si è rivelata un fallimento.
paoloarmaroli@tin.it

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