![Modigliani, il più evoluto (e sensibile) fra i "primitivi"](https://img.ilgcdn.com/sites/default/files/styles/xl/public/foto/2018/02/21/1519200585-7253020.jpg?_=1519200585)
Amedeo Modigliani è forse il primo pittore italiano del Novecento. Primo anche rispetto agli altrettanto grandi e riconosciuti Giorgio de Chirico e Giorgio Morandi, la cui dimensione è comunque internazionale. L'intuizione di Modigliani, anche se per emergenza o destino, è di avere lasciato l'Italia per Parigi, nel 1906, a 22 anni, e avervi lavorato, fino alla morte, nel 1920, cosa che lo ha reso non pittore italiano ma universale, trovandosi là dove si agitava lo spirito della storia.
Nei primi cinquant'anni del Quattrocento, e poi per una parte del Cinquecento, e nei primi trenta, quarant'anni del Seicento, le capitali dell'arte sono Firenze, Venezia e Roma. Nel Novecento la capitale è Parigi. Tutto accade a Parigi. Anche se in condizioni di disagio, la vita di Modigliani si è svolta nel luogo in cui il suo gesto artistico aveva la massima possibilità di essere riconosciuto e amplificato. E, infatti, nonostante la dannazione della vita personale, il successo è arrivato, sulla soglia della morte. L'attrazione esercitata da Parigi risuonava anche in Italia, nelle riviste La Voce, Lacerba, in intellettuali e scrittori come Giuseppe Prezzolini e Giovanni Papini, che corroborano il mito di Picasso e dei grandi artisti francesi, che diventano riferimenti ineludibili anche per gli artisti italiani. Lo stesso Morandi, che è esattamente l'opposto di Modigliani, trincerandosi nel suo studio bolognese di via Fondazza ha, nella fase iniziale, il suo modello in Cézanne.
Parigi, tra la fine dell'Ottocento e i primi due decenni del Novecento, significa un taglio netto col passato, quello cantato da Rimbaud nel Battello ebbro: «Dentro lo sciabordare aspro delle maree,/ L'altro inverno, più sordo di una mente infantile,/ Io corsi! E le Penisole strappate dagli ormeggi/ Non subirono mai sconquasso più trionfante». Sciogliere gli ormeggi della tradizione classica, per risalire a una nuova tradizione, che si addensava nella casa di Gertrude Stein, scrittrice, mecenate, collezionista anche di quelle maschere africane che ispirano Les demoiselles d'Avignon di Pablo Picasso. Non guardare più Canova, non Raffaello, ma, come aveva indicato già Gauguin, ispirarsi a un altro mondo, il mondo primitivo.
L'arte contemporanea - se guardiamo le opere da Pablo Picasso fino a quelle di Mimmo Paladino - non si comprende senza l'arte primitiva, che ha il profondo significato di azzerare la grande tradizione occidentale, del Rinascimento e del Classicismo, per costruire un nuovo immaginario. È questa la forza primigenia, selvaggia del Novecento, delle avanguardie.
Anche Modigliani è un primitivo, ma in modo più complesso. Lo è anzitutto nell'accezione sofisticata con cui furono indicati, da alcuni studiosi della pittura del Duecento e del Trecento come Adolfo Venturi e Bernard Berenson, Cimabue, Giotto, Simone Martini, Ambrogio Lorenzetti. In questa luce possiamo affermare che il primitivismo di Modigliani è una meravigliosa sintesi della tradizione italiana con la civiltà africana delle maschere nere, con Brancusi, Soutine, Picasso.
In lui è dunque la quintessenza del concetto di «primitivo», nelle due accezioni: quella che condivide con l'ambiente di Gertrude Stein e quella che lo rimanda alla cultura pre raffaellesca, a Giotto in particolare. Ma in Modigliani c'è lirismo, un soffio petrarchesco, in cui domina la bellezza solitaria dei suoi volti femminili, la passione per essi, la loro dolcezza. Come nella tradizione petrarchesca, in Modigliani si determina un dialogo d'amore da solo a solo. Non c'è un altro pittore in tutta la storia dell'arte moderna, ma anche in quella del passato, che abbia dipinto solo figure solitarie. Nel rapporto con la figura ritratta, astratta da ogni altra presenza, accade l'incontro di Modigliani con se stesso: io sono un altro, e quell'altro, perché sia me, perché sia l'incontro con me stesso, non può che essere uno solo. E questo in particolare succede con i ritratti di Jeanne, la sua compagna.
Modigliani stabilisce una dissonanza fra l'esperienza della vita, che è un'esperienza pasoliniana, di grande euforia del vivere, e la produzione artistica, tutta intimistica, concentrata, mentale, in un silenzioso dialogo con i modelli, uomini e donne, dei suoi dipinti. E con Jeanne. Modigliani voleva rumore intorno e silenzio dentro, e questa credo sia la chiave del suo eterno fascino. È un artista solitario, in un luogo dove era naturale essere parte di un movimento. Non c'è un movimento Modigliani o di cui lui abbia fatto parte, ma c'è il mito Modigliani. L'apoteosi dell'artista nella sua irripetibile singolarità.
Sul finire della sua vita, fra il 1918 e il 1919, quando le grandi avanguardie perdono il loro mordente, Léopold Zborowski, il suo gallerista, ne avverte l'originalità, sua e di Soutine. Era arrivato il momento. Il rappel a l'ordre dell'arte europea, tra il '19 e il '20, sembrava dover archiviare l'esperienza militaresca e roboante delle avanguardie. Ma il 24 gennaio del 1920 Modigliani muore della malattia del secolo, di tubercolosi, con uno sfinimento fisico che lo rende ancora più anima che corpo. E quando lui muore, muore anche la ragione della vita di Jeanne. L'amore che lei voleva da lui era innegabilmente legato al tempo della vita. Finita la vita di lui, si consuma anche la vita di lei.
Finito il tempo di Amedeo, non c'è più tempo per Jeanne, che si uccide, il giorno dopo la morte di lui, il 25 gennaio 1920.Quando contempliamo i ritratti che Modigliani ha dedicato a Jeanne, e la forza d'ispirazione che da lei viene a lui, capiamo che sono una vita sola, sono l'idea più alta dell'amore.
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