L'Occidente non potrà più liquidare, fino alla fine dell'anno, le partecipazioni delle sue aziende in Russia nei settori delle banche e dell'energia. Lo ha disposto un recente decreto firmato dal presidente Vladimir Putin che impone alle aziende dei Paesi indicati come "ostili" di mantenere il loro presidio economico nella Federazione e impedisce di liquidare i loro asset nei settori segnalati vendendoli ad attori locali, come annunciato nei mesi scorsi da diversi big occidentali, da British Petroleum a Societé Generale.
La mossa appare la diretta risposta di Mosca all'ufficializzazione da parte dell'Europa delle politiche di taglio ai consumi di gas e al via libera all'embargo al carbone russo, oltre che alle nuove manovre di confisca e congelamento di beni (quote societarie, oro, proprietà degli oligarchi) negli Stati Uniti e nel Regno Unito. E ha valenza sistemica per tre ragioni: in primo luogo, la Russia intende cristallizzare la situazione interna impedendo agli attori occidentali di uscire unilateralmente dal Paese portando fuori le loro competenze tecniche, destrutturando dinamiche di mercato che Mosca vuole mantenere intatte per quando ritiene torneranno tempi migliori. In secondo luogo, vuole evitare che si accentui la fuga di capitali e competenze dal Paese. Infine, vuole esercitare una pressione indiretta sui governi degli ex partner facendosi scudo dietro le loro società: qualsiasi sanzione e restrizione imposta al mercato interno russo cagionerà dei danni alle filiali locali dei gruppi a cui sarà impedito di lasciare la Russia.
Secondo quanto Energy Intelligence ha potuto anticipare, il decreto di Putin in campo energetico colpirà principalmente quei progetti a cui il governo di Mosca non intenderà proseguire senza il sostegno dei capitali occidentali. Il decreto "si applica all'accordo di condivisione della produzione di Kharyaga, in cui la francese Total e la norvegese Equinor hanno precedentemente segnalato il trasferimento delle loro partecipazioni (rispettivamente il 20% e il 30%) all'operatore Zarubezhneft"; inoltre, "impedisce temporaneamente a BP di procedere con i piani per vendere la sua partecipazione del 19,75% nel gigante petrolifero russo Rosneft e alla statunitense Exxon Mobil di cedere la sua partecipazione del 30% nel progetto petrolifero Sakhalin-1 nell'Estremo Oriente russo". A essere interessata, potenzialmente, anche Enel che prevede di cedere a Lukoil e al fondo Gazprombank-Frezia della sua partecipazione del 56,43% in Enel Russia (che possiede tre centrali da 5,6 GW e due parchi eolici).
L'elenco delle aziende che saranno indicate come target di questa manovra sarà pubblicato in settimana su iniziativa della governatrice della Banca Centrale Elvira Nabiullina. L'apprezzamento del rublo rende, in quest'ottica, fondamentale per Mosca mantenere gli attori finanziari stranieri sul suo suolo. Citigroup, per esempio, ha annunciato di voler uscire da tempo dal Paese in forma graduale ma ha rivelato un'esposizione di 8,4 miliardi di dollari in Russia al 30 giugno, in leggero aumento rispetto ai 7,9 miliardi di dollari alla fine del primo trimestre. Tra le banche italiane, sarebbero un bersaglio ottimale di una manovra di contenimento Unicredit e Intesa. A giugno, Piazza Gae Aulenti ha dimezzato da 5,4 a 2,7 miliardi di dollari la sua esposizione residua verso la Russia e, nota Il Messaggero, da tempo "è al lavoro per vendere e non svendere le proprie attività a paesi terzi non colpiti dalle sanzioni". Una mossa che ora potrebbe risultare impossibile da portare avanti. Due settimane fa, invece, Intesa ha svalutato di 1,13 miliardi le sue posizioni in Russia e valuta il futuro della presenza nel Paese.
La manovra contro-sanzionatoria di Putin impone, in questo contesto, di pensare attivamente a come la guerra economica possa assumere diverse forme nei tempi presenti. Nella strategia russa coesistono sia politiche di sottrazione degli asset di aziende che hanno annunciato l'uscita dalla Russia, sia strategie volte a aumentare la bolletta energetica dell'Europa, sia embarghi settoriali nei campi in cui Mosca gestisce combinatamente la sua strategia. La sovrapposizione tra mercato energetico e finanza è oggigiorno uno dei punti deboli dell'Europa e ha rappresentato il salvagente anti-sanzioni della Russia, che fino ad oggi ha usato l'export di gas, petrolio e carbone per difendere il cambio del rublo.
Impedire l'uscita degli occidentali da questo settore significa tentare, tra le altre cose, di mandare un messaggio di forza in un contesto che vede le sanzioni mordere in molte attività produttive ma risparmiare il nocciolo duro del sistema-Russia. A suo modo, questa politica di "congelamento" però mostra anche che la Russia non è indipendente e sovrana sul fronte tecnologico in diversi ambiti cruciali per la sua sopravvivenza. Vale per l'Occidente come per Mosca: ogni politica sanzionatoria è un Giano Bifronte. Mettendo in risalto tanto i punti di forza quanto quelli di debolezza di un sistema.
Che per Mosca non mancano di accumularsi. La certezza, per ora, è quella di una grande instabilità. Da valutare con attenzione mentre si avvicina l'autunno e con esso lo spettro di un conflitto a tutto campo su sanzioni, energia, valute.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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