In Cina il governo comunista, guidato da Xi Jinping, spera di ottenere, entro il 2035, il riconoscimento di 15 siti come patrimonio mondiale dell'Unesco. Ma tre di questi beni, il mausoleo di Mao, piazza Tienanmen e il Monumento agli eroi del popolo, sono già stati presi di mira dagli attivisti per i diritti civili, che ne hanno bocciato la candidatura.
"Questi luoghi e opere hanno una forte connotazione politica. Perché Mao dovrebbe essere considerato proprietà culturale comune dell’umanità?", si è chiesto l’attivista per i diritti umani Hu Jia. Hu ha aggiunto che “Mao Zedong dovrebbe essere riconosciuto, in tutto il mondo, come uno dei tre tiranni del XX secolo, a fianco di Stalin e Hitler”.
Xia Ming, professore di scienze politiche presso la City university di New York, ricordando la grande quantità di opere d’arte che proprio da Mao sono state fatte distruggere durante la "Rivoluzione culturale", sovvertimento culturale che è stato propagato con la forza dal celebre dittatore comunista, si è ironicamente chiesto con la stessa Asia News "se il corpo di Mao Zedong dovrebbe essere proprietà culturale comune dell’umanità?".
Il Máo Zhǔxí Jìniàn Táng, noto come Mausoleo di Mao Zedong, è l'ultima dimora di Mao Zedong, presidente del Politburo del Partito Comunista Cinese dal 1943 fino alla sua morte, avvenuta nel 1976.
Sebbene Mao avesse voluto essere cremato, la sua richiesta fu ignorata e il suo corpo fu imbalsamato. La costruzione del mausoleo avvenne poco dopo la sua morte. Questa attrazione, molto popolare e nota grazie a tutte le immagini televisive, si trova nel mezzo della Piazza Tiananmen ("Porta della Pace Celeste") della capitale cinese.
La piazza è tristemente nota per una serie di eventi politici e proteste studentesche. In particolare per le proteste del 1989 dopo la morte di Hu Yaobang, dissensi che hanno provocato la repressione militare e la morte di migliaia di manifestanti civili e hanno lasciato nella memoria collettiva l’immagine di un uomo che, durante quelle proteste, si fermò di fronte a una fila di carri armati e si rifiutò di muoversi.
Anche il Rénmín Yīngxióng Jìniànbēi, cioè il Monumento agli eroi del popolo ha forti connotazioni politiche. L’obelisco di dieci piani, infatti, è stato eretto come monumento nazionale della Repubblica popolare cinese ai martiri della lotta rivoluzionaria durante i secoli XIX e XX. Non a caso sul piedistallo ci sono degli enormi bassorilievi che raffigurano otto episodi rivoluzionari.
Dopo le proteste del 1989 (durante le quali il Monumento era un punto di raccolta per i manifestanti), il governo ha proibito di scalare il monumento oltre la barriera protettiva senza previa approvazione, così come ha proibito di fotografarlo e riprenderlo. Tanto che oggi chi intende gettare le corone sul monumento deve richiederlo con cinque giorni di anticipo.
Attualmente sono 53 i siti protetti dall'UNESCO in Cina, su un totale mondiale di 1.092 (diciannove di questi siti sono stati aggiunti all'inizio di luglio 2018) ma questi ultimi tre richiesti dalla Cina sembrano davvero avere una forte connotazione politica.
Adesso i dissidenti attendono una presa di posizione dell’Unesco e si augurano di scongiurare i danni che potrebbero derivare da tali riconoscimenti perché le autorità comuniste vorrebbero ridurre la densità abitativa nei pressi di questi luoghi, ricollocando altrove centinaia di migliaia di persone.
Peraltro nella città di Pechino sono già diverse migliaia gli sfratti con la forza perché l’obiettivo del governo è quello, entro il 2020, di stabilizzare la popolazione della capitale a non più di 23 milioni di abitanti.
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