Tra le stanze rigorosamente chiuse del Jinxi Hotel di Pechino si è riunito in questi giorni il potente Comitato centrale del Partito comunista cinese. L'occasione è il sesto Plenum e i 376 dirigenti politici discuteranno di come «amministrare severamente il partito» più grande del mondo (oltre 88 milioni di iscritti), mentre Xi Jinping, presidente della Repubblica popolare e anche di tutto il resto, prepara il terreno per mantenere il potere assoluto ben oltre i canonici dieci anni. Come solo Mao Zedong prima di lui ha fatto.
Xi è stato nominato segretario generale del Partito comunista, e di conseguenza anche presidente del Paese, nel novembre del 2012. In quattro anni ha assunto il ruolo di comandante in capo delle Forze armate e ha creato dal nulla una decina di commissioni, che decidono ogni cosa nel Paese e che lui presiede tutte personalmente. Appena salito al potere ha lanciato la temutissima campagna anti-corruzione per colpire «tigri» e «mosche» dentro il partito, cioè grandi capi e piccoli quadri. In pochi anni sono stati sanzionati centinaia di migliaia di ufficiali, da piccoli funzionari locali al potentissimo capo della sicurezza Zhou Yongkang, ex membro del Comitato permanente del Politburo, il gruppo ristrettissimo di sette papaveri comunisti che governa 1,3 miliardi di persone. Il messaggio è semplice: nessuno è al sicuro e per essere sanzionati, incarcerati o fatti sparire non c'è bisogno dei tribunali, basta il parere negativo della Commissione disciplinare.
La corruzione è davvero una delle piaghe più grandi della Cina ma Xi la usa come scusa per eliminare tutti i suoi oppositori politici all'interno del partito, proprio come fece Mao. Se il Grande Timoniere adoperò come mezzo la Rivoluzione culturale, di cui ricorre quest'anno il 50º anniversario, Xi brandisce la campagna anti-corruzione. Negli anni '60, chi non era d'accordo con Mao veniva bollato come «capitalista», oggi chi si oppone a Xi è un «corrotto».
Secondo un grande osservatore del Dragone, Willy Lam, docente presso la Chinese University di Hong Kong, Xi potrebbe sfruttare il sesto plenum, che si chiuderà domani, per aumentare ancora di più il suo potere all'interno del partito. Mentre il Quotidiano del popolo propone di nominarlo lingxiu, cioè Leader supremo (sarà un caso?), altri organi di stampa da anni lo osannano come il «cuore della leadership». Poiché l'anno prossimo cinque membri su sette del Comitato permanente del Politburo avranno superato i 68 anni, limite di età per farne parte, Xi potrebbe imporre in questi giorni di alzare quella soglia di un anno, in modo tale da pensionare tutti i membri tranne se stesso, il premier Li Keqiang e Wang Qishan, suo braccio destro, messo a capo della Commissione che indaga sui corrotti. Wang infatti l'anno prossimo avrà esattamente 69 anni. L'anno prossimo Xi come consuetudine verrà poi confermato per altri cinque anni, ma il segretario potrebbe non avanzare nessun nome per la sua successione, non avendo alcuna intenzione di lasciare il potere nel 2022 come previsto dalla consuetudine del partito.
Riproporsi come nuovo Mao non è però una decisione scontata per Xi. Suo padre, Xi Zhongxun, generale della rivoluzione comunista e vicepremier, fu rovinato dal partito dopo che cadde in disgrazia negli anni '60 per l'approvazione di un libro critico di Mao. Purgato, fu imprigionato e torturato. Lo stesso Xi Jinping, che perse una sorella durante la Rivoluzione culturale, fu costretto a denunciare pubblicamente il padre per tre volte.
Seguire le orme di Mao per Xi significa incarnare quell'ideologia che ha distrutto la sua famiglia. Ma come scrivono gli osservatori più accreditati, questa fase l'ha già superata, essendo diventato «più rosso dei rossi».
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