Settantacinque anni fa, prima che questo giornale venisse anche soltanto immaginato, il suo fondatore, il direttore Indro Montanelli, era detenuto nel carcere di San Vittore quale elemento "sovversivo" accusato di aver scritto articoli inaccettabili contro il regime fascista secondo la Gestapo e l'Ovra, che per questo ne avevano ordinato l'arresto, effettuato dalle SS che nel 1944 occupavano militarmente il nord d'Italia e con essa la città di Milano.
Fu allora che negli spogli e freddi corridoi del quinto raggio di San Vittore - gli stessi dove pochi giorni fa si assembravano i rivoltosi a caccia di grazie e indulti - che Montanelli ebbe l’occasione di fare la conoscenza di Giovanni Bertone e della storia alla quale dedicò anni dopo un romanzo che in parte si fonda la veridicità dei fatti: "Il generale della Rovere". Un intrigò affascinante e toccante nell'epilogo, perché nell'Italia spaccata in due dopo l'8 settembre, cui seguì l'abbandono delle posizioni da parte di reali, reggenti e "generali", questo pregiudicato cinquantenne arrestato per crimini comuni, venne corrotto dagli aguzzini nazisti per diventare una preziosa "spia". Spacciandosi per il generale Fortebraccio della Rovere - consigliere particolare del generale Alexander, ucciso appena sbarcato - inviato nell'Italia "occupata" per coordinarsi con le brigate partigiane, avrebbe dovuto rivelare ai tedeschi i piani degli Alleati. Fu così che Bertone (alcuni dicono Bertoni, nrd) abitò per un anno la cella del V braccio di S.Vittore, lo stesso che accolse per diversi mesi il condannato a morte per fucilazione Indro Montanelli, e l'italo-americano Mike Bongiorno, detto "maggiolino", ma non nelle vesti già note ad altri carceri del truffatore, in quelle di un generale famoso catturato dal nemico. Nello stare a contatto con le difficoltà della prigionia e con la "necessità" di fungere da esempio di fermezza e risolutezza agli occhi dei compagni di prigionia - molti dei quali condannati a morte come dissidenti, fuggitivi, giornalisti, antifascisti, partigiani - Bertone scoprì dentro di se il coraggio per non rendersi una pedina e negare di prestarsi al ruolo di spia; mantenendo fino alla fine il suo ruolo falso di "generale" tutto d'un pezzo. Una lezione della quale va fatto tesoro in questi giorni difficili, dove la politica, onnipresente e a tratti "onnisciente" in tempo di pace, manca di fermezza e si congeda dalla scena pubblica, o meglio si silenzia timidamente. Lasciando il bastone del comando per timore di dover fare i conti con gli elettori alla fine di questa "guerra": perché quella che l'umanità oggi combatte contro la pandemia lo è a tutti gli effetti, una guerra.
Quando Bertone venne tradotto al campo di concentramento Fossoli per essere fucilato il 22 giugno del 1945, mantenne fino all'ultimo istante la parte che i tedeschi avevano pensato per lui, truffatore da due soldi con un passato pregno di messe in scena, raggiri ed inganni. Indossò per la prima volta gli abiti ben stirati che la già vedova Della Rovere gli aveva affettuosamente inviato in carcere, incastro il monocolo sul volto, e di fronte al plotone d'esecuzione fece passo avanti, senza paura, gridando "Viva l'Italia". Dimostrando a quanti lo videro e ne lessero in seguito, che si può essere "generali" anche senza le stellette; uomini d'esempio senza averne alcun titolo. Perché il coraggio non appartiene a classi sociali, status o lignaggio, ma si nasconde in ognuno di noi, e si manifesta fermo e spontaneo quando ne percepiamo il bisogno. Ne stiamo leggendo tutti i giorni tra le righe dei giornali di questo coraggio: quando ci raccontano dei medici asserragliati da un mese nei reparti di terapia intensiva. Quando leggiamo delle infermiere stremate dai turni che si addormentano a una scrivania. Quando scorgiamo dalla finestra delle nostre case sicure, ma rese delle "prigioni" temporanee per cause di forza maggiore, tutte le donne e gli uomini che anche svolgendo ruoli che possono sembrarci "semplici", sono in prima linea contro questa minaccia e la affrontano senza paura e senza marcare visita.
Così cito testualmente le parole scritte da Montanelli - sempre spietatamente attuali - per il colonnello tedesco che aveva elaborato l'intrigo e che mandò al muro un uomo comune che aveva solo trovato il suo coraggio: "Noi tedeschi giudichiamo questo paese dai suoi generali veri. È su quelli falsi che va misurato". Ebbene, questo vale e varrà per sempre per tutti Noi. Agli occhi dell'Europa e del mondo.
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