Dietro la vendetta in toga il flop alle urne di Macron

L'apparato e il sistema giudiziario hanno avvisato l'Eliseo: la dottrina Mitterrand non si può toccare

Dietro la vendetta in toga il flop alle urne di Macron

L'apparato e il sistema giudiziario hanno vinto sulla politica. La Francia si è issata sui propri pregiudizi e ha sconfitto il tentativo di cambiamento del presidente Macron. Finisce in modo imprevisto la storia dei dieci ex terroristi, invecchiati nell'esilio di là delle Alpi e protetti per decenni dai magistrati, dai funzionari, dalla burocrazia, dagli intellettuali.

Nell'aprile del 2021 era arrivata la svolta: il riconoscimento da parte dell'Eliseo che la dottrina Mitterand era stata applicata oltre ogni decenza. Tutelando non esuli politici perseguitati in patria, ma gli autori di alcuni dei più efferati delitti degli anni di piombo.

Sembrava che si dovesse voltare pagina. Ma oggi scopriamo che il vento del rinnovamento si è fermato anche a Parigi. E, sia detto senza retorica, è difficile immaginare un'Europa unita quando le sentenze italiane, non le sparate di qualche politico, vengono cestinate come carta straccia.
Per mesi si è assistito a un duello nemmeno tanto sotterraneo: da una parte il triangolo istituzionale formato dal presidente Macron, dal ministro della giustizia Eric Dupond-Moretti, che ha pure la nazionalità italiana ed è in pessimi rapporti con le toghe, e dall'ambasciatore a Roma Christian Masset che parla perfettamente la nostra lingua; dall'altra parte il sistema, come l'hanno ribattezzato Mario Calabresi e la sua famiglia, che ha neutralizzato con motivazioni tecniche e giuridiche le mosse dell'esecutivo.

Masset si è speso con abnegazione per far capire a Roma che la musica non era più quella di prima e Parigi aveva fatto finalmente fatto autocritica: l'Italia degli anni Settanta non era il Paese delle torture e delle leggi speciali, dei processi all'ingrosso, una specie di Sudamerica di qua delle Alpi.
La magistratura francese ha reagito tirando fuori tutto l'arsenale delle possibili motivazioni: la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, le libertà individuali, il rispetto del giudizio in contumacia, il precedente storico di decisioni favorevoli agli ex brigatisti, prese trent' anni fa sempre sotto l'ombrello ambiguo della dottrina Mitterand. Tutto e di più per mettere in crisi quel che a prima vista era ineccepibile. Come si fa a prendere le parti di assassini spietati che hanno ammazzato con ferocia e hanno attaccato la nostra democrazia seminando lutti e distruzioni?

A Parigi si sono ostinati e arrampicati sugli specchi, fino a sfiorare l'assurdo: abbiamo assistito per anni a intemerate contro i verdetti che avevano inchiodato alle sue tragiche responsabilità Cesare Battisti, il capo dei per nulla gloriosi Proletari Armati per il Comunismo. Battisti, come tanti altri, è stato presentato come la vittima di inenarrabili complotti orditi non si sa bene da chi nel nostro sventurato Paese. È stato vezzeggiato e corteggiato, ammirato persino con una punta di inguardabile romanticismo. Poi è scappato in Brasile, dove l'ignobile farsa è andata avanti finché, alla fine del 2018, è stato abbandonato al suo destino e rispedito a Roma. Qui l'eroico combattente ha confessato i crimini che tutti già conoscevano.

La claque è stata zittita, ma solo per un attimo e la mischia si è riaccesa sul pacchetto di quegli ultimi superstiti del partito armato. Simboli ormai invecchiati e lontani da quella stagione avvelenata, ma ancora importanti, perché la verità e il dolore non temono il tempo. «Quel che è certo - riassume Jean Louis Chansalet, legale di Enzo Calvitti - è che c'era la volontà politica comune di Italia e Francia di arrivare all'estradizione, ma la giustizia ha mostrato di essere indipendente e non ha seguito gli ordini del governo francese».

Appunto, un braccio di ferro. Risolto naturalmente con le armi del diritto: «Il mio assistito - conclude Chansalet - era già stato giudicato in Francia 32 anni fa. Da un punto di vista giuridico la richiesta di estradizione non poteva tenere, il governo francese avrebbe dovuto saperlo».


Chissà, il calendario della giustizia non è quello del Palazzo. Ma, combinazione, la decisione è arrivata subito dopo le elezioni legislative e il tonfo di Macron che ha perso la maggioranza assoluta. I titoli della débâcle e poi lo schiaffo al Presidente.

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