Negli Stati Uniti, funziona così: a diciott’anni, fuori di casa. Finito il liceo, di solito i ragazzi salutano mamma e papà e vanno a vivere nei campus universitari a tre ore di macchina o dieci di volo. Solo chi abita in grandi città come New York forse va al college continuando a vivere coi genitori. In linea generale, però, i ragazzi americani conquistano l’agognata indipendenza lasciando la casa di famiglia e partendo per il college, dove la sconclusionata vita nei dormitori è formativa quanto il primo lavoro estivo a vendere gelati a 16 anni.
Ma negli ultimi anni, una nuova tendenza sta scuotendo la società americana alle sue fondamenta. Sempre più ragazzi tornano a vivere a casa dei genitori dopo aver finito il college. Le motivazioni? Debiti per pagarsi i costi proibitivi degli studi e un’economia in miglioramento ma ancora punitiva nei confronti dei neolaureati. Ma il fenomeno Boomerang Generation - così chiamato perché, come un boomerang, i ragazzi tornano a casa - è anche il risultato naturale di un’evoluzione che ha investito la società americana. E nel suo piccolo, persone come Monica Navarro.
Navarro è una ragazza di 25 anni, di Escondido, California. Lisci capelli neri tagliati all’altezza delle spalle, carnagione chiara, un aspetto un po’ emo. Navarro era all’ultimo anno di università, alla University of California, San Diego, quando decise di ritrasferirsi nella camera da letto che aveva lasciato alla fine del liceo. All’università, stava studiando letteratura e scrittura creativa e i debiti per pagare la retta cominciavano ad accumularsi. Al momento della laurea, Navarro aveva 44.000 dollari di debiti. Il lavoro a Home Depot, una catena di ferramenta dove guadagnava poco più di 10 dollari l’ora, non le permetteva di pagare l’affitto. La scelta di Navarro? Tornare a casa di mamma e papà. “Pensavo che una laurea mi avrebbe procurato un lavoro”, dice Navarro, che vive ancora a casa dei genitori in California. “Ma quando stavo per laurearmi, mi sono accorta che laurearsi era solo metà della battaglia”. Oggi, come Navarro, negli Stati Uniti un ragazzo su tre di età fra i 18 e il 34 anni vive con i genitori. E il 60 percento di tutti i giovani americani riceve un aiuto finanziario dai genitori. Una generazione fa, solamente un ragazzo su dieci viveva a casa di mamma e papà, e pochi ricevevano soldi. Una delle ragioni per cui il numero dei cosiddetti ragazzi boomerang è aumentato è la recessione economica che ha colpito gli Stati Uniti verso la fine del 2007. Oggi, un neolaureato su quattro è disoccupato o sottoccupato. E i ragazzi di oggi hanno più debiti per pagarsi gli studi di qualsiasi altra generazione americana del passato: Gli studenti che si sono laureati nel 2014 avevano, in media, 33.000 dollari di debiti. Nell 1993, il debito medio era di 9.300 dollari.
Ciò vuol dire che i ragazzi di oggi diventano indipendenti in tarda età. Nel 1968, la maggior parte dei ventenni viveva per conto proprio; più di metà era sposata. Ma nel 2007, prima ancora dell’inizio della crisi, neanche un ragazzo su quattro era sposato. E il 34 percento dipendeva dall’aiuto del genitori per pagarsi l’affitto. Secondo Adam Davidson, un giornalista americano esperto di economia, che ha scritto della generazione boomerang, è normale che i ragazzi di oggi dipendano maggiormente dai genitori. È il risultato naturale di un’evoluzione che ha investito la società americana: i giovani di oggi sono eterni bambini. Nel passato, all’età di quattro anni in America già si cominciava a lavorare, di solito in una fattoria. A dieci anni, si lavorava a tempo pieno. Negli Stati Uniti, la realtà lavorativa dei minori cambiò nel diciannovesimo secolo, quando vennero approvate le prime leggi sull’obbligo formativo. Nel 1918, tutti i bambini americani avevano l’obbligo di frequentare almeno la scuola elementare. Nel ventesimo secolo, con il passaggio delle leggi sul lavoro minorile, il numero di bambini che lavoravano diminuì drasticamente. L’espansione della ricchezza indicò un’espansione dell’infanzia. Oggi, i cosiddetti teenager, gli adolescenti, non sono più considerati dei giovani adulti, ma semplicemente dei “bambini più grandi” che devono essere protetti e incoraggiati ad esplorare le tantissime possibilità che il mondo d’oggi offre. Secondo Davidson, il fenomeno “boomerang generation” è la risposta della società americana ad un’economia molto diversa dal passato e certamente più complicata. Il cambiamento radicale avvenne negli anni Ottanta, quando macchine e computer cominciarono ad “automatizzare” il posto di lavoro—in fabbrica come in ufficio. La delocalizzazione della produzione in paesi in via di sviluppo ha poi contribuito a create un mercato lavorativo molto più competitivo.
Oggi, la competizione è ancora più alta. Avere una laurea offre un vantaggio, ma non più la garanzia di un futuro lavorativo. I giovani devono acquisire le capacità lavorative prima ancora di ottenere un lavoro. Come? Facendo stage su stage su stage, spesso non pagati.
Inoltre, per i ragazzi d’oggi, soprattutto i figli della classe media americana, lavorare non vuol dire guadagnare soldi per portare la pagnotta a casa. Il lavoro è parte integrante della propria personalità. Deve essere importante, significativo. Per cui, in un mondo pieno di possibilità, semplicemente scegliere cosa fare della propria vita diventa complicato. L’indecisione è all’ordine del giorno. In quest’ottica, dormire a casa di mamma e papà è un modo di prendere tempo, di risparmiare soldi mentre si cerca di capire cosa voler fare da grandi. Tornare a casa diventa “una scelta economica”. Questa è certamente l’esperienza vissuta da Sarah Van Eck, una ragazza del Minnesota, che dal 2012 al 2014 ha vissuto con i genitori nel suo paese natale di Hendricks. Dopo essersi laureata in biologia alla Northwestern University, Van Eck non sapeva bene cosa volesse fare. Ma di una cosa era convinta: vivere per conto proprio con 50.000 dollari di debiti era impossibile. Tornare a casa dei genitori a Hendricks non era particolarmente eccitante: un paesino del Midwest con pochi giovani, poca vita sociale, poche opportunità di lavoro. Ma Van Eck, che ora ha 25 anni, considera i due anni passati a casa un’esperienza fondamentale per il proprio futuro. Vivere a casa le ha permesso di concentrarsi su se stessa e capire davvero cosa volesse fare. Nell’agosto del 2014, Van Eck ha deciso di tornare all’università per diventare un’assistente sociale.
“[Vivere con i miei] ha aiutato tantissimo la mia situazione finanziaria”, dice Van Eck, che ora vive da sola a Grand Rapids, Michigan, dove studia per la specialistica. “Non sarei mai riuscita a tornare all’università se non avessi potuto risparmiare soldi in quel periodo”.
Come Van Eck, diversi ragazzi boomerang stanno lentamente lasciando il “nido”. L’economia americana è in miglioramento e la disoccupazione dei giovani dai 25 ai 34 anni è calata al 7 percento, dal 9 percento nel 2012. Ma alcuni ragazzi, come Monica Navarro, in California, non hanno intenzione di andarsene, pur avendo la possibilità di farlo. Non importa cosa pensano gli altri. Non importa che spesso, negli Stati Uniti, i ragazzi boomerang vengano considerati un fallimento. Dopo essersi laureata, Navarro ha capito di voler fare la bibliotecaria. Sta cercando di ottenere un certificato da “tecnico bibliotecario” al Palomar College, a San Marcos, in California.
Nel frattempo, sta pagando i propri debiti mentre lavora in due biblioteche. Guadagna abbastanza da poter vivere per conto proprio, ma non vuole. “Non è più un fallimento, è una scelta ora”, dice. “Avere questa certezza è abbastanza per me”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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